lunedì 4 aprile 2016

House of Cards - Stagione 4

★★★

Uno dei miei personaggi seriali preferiti è Frank Underwood. Freddo manipolatore, impagabile opportunista, micidiale stratega, omicida impenitente, affascinante affabulatore. No, non è la descrizione di un narcotrafficante o di un boss degli anni '30. Ma del Presidente degli Stati Uniti d'America. E l'attore che lo interpreta è colui che indico come il Figlio nella mia speciale (e indiscutibile) trinità d'attori viventi: Kevin Spacey. Fin dalla prima puntata di House of Cards - tratta dalla trilogia letteraria di Michael Dobbs, sviluppata per la televisione da Beau Willimon e prodotta, tra gli altri, da David Fincher - si è affermata come una delle serie Tv più intriganti e interessanti, in grado di rendere la politica (che barba e che noia) addirittura sexy. 

Frank Underwood, da quando è subentrato a Walker, non ha avuto una presidenza facile e come se non bastassero le pressioni dei russi, le beghe di partito e un Doug (suo braccio destro) in riabilitazione al termine di un negoziato finito male, che ha non poco minato la credibilità politica di sua moglie Claire, il suo speciale rapporto con lei sembra destinato a finire. Claire è satura del ruolo di First Lady e mira in alto: la vicepresidenza. Frank sa che sarebbe un suicidio politico se la nominasse senza una buona ragione e in questo caso il destino gli viene in soccorso sotto forma di una pallottola che fa centro nella sua carne. 

Come si è capito fin dalla prima puntata, dove un Kevin Spacey in bretelle e camicia bianca pone fine ai guaiti di un cane investito da un auto, House of Cards è una serie Tv disumana. Le poche volte in cui il sentimento danza sui volti dei personaggi come una flebile fiammella noi proviamo quasi della repulsione; perché il sentimento stona maledettamente in quella fotografia dai toni glaciali e quando compare il sesso, beh, è soltanto un altro modo per esprimere il potere dell'uno sull'altro. 

E' vero, Frank non sputa su un crocifisso, non piscia sulla tomba del padre, non vorrebbe buttare giù dalla tromba delle scale il presidente russo Petrov, ma quando rompe la quarta parete in questa stagione non lo fa mai a sproposito e si fa perdonare per non averlo fatto prima, e noi lì, incantati da questo pifferaio magico con le mani lordate di sangue. E manca poco che si ritrovi a banchettare all'inferno come un Kennedy qualunque. Inoltre scene come quella nello studio ovale con il Segretario di Stato Cathy Durant rimarranno nella storia dello show per tensione e atmosfera. 

Poi, finalmente, gli autori, accortisi che la Dunbar era una concorrente troppo debole per un figlio di buona donna come Underwood, hanno inserito il governatore Conway, candidato repubblicano alle elezioni presidenziali, dall'immagine pubblica immacolata i cui reali appetiti vanno a braccetto con quelli del suo tenace e scaltro avversario (nonché presidente). Per questo e per altri motivi (su tutti la regia elegante e decisa di Robin Wright) questa quarta stagione di House of Cards supera in qualità la terza, si può accostare senza problemi alle prime due imperdibili stagioni, e non fa che accrescere la salivazione in attesa di una quinta presumibilmente debordante di caos, violenza e terrore. 

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