lunedì 28 marzo 2016

Batman v Superman: Dawn of Justice (2016)

½

Diciotto mesi dopo il suo scontro con Zod, Superman (Henry Cavill) divide l'opinione pubblica: c'è chi lo ama come se fosse un dio e chi teme che sia una pericolosa minaccia per il mondo intero. Tra coloro che provano nei confronti di Superman un odio profondo c'è il miliardario Bruce Wayne (Ben Affleck), che da più di vent'anni combatte il crimine a Gotham City vestendo i panni di Batman, il quale lo considera colpevole della morte di centinaia di cittadini di Metropolis. Nel frattempo il giornalista Clark Kent (identità dietro cui si cela Superman) indaga sul vigilante di Gotham che usa metodi tutt'altro che sottili mentre il giovane Lex Luthor (Jesse Eisenberg), convinto che il supereroe di Metropolis sia una minaccia per l'umanità, trama al fine di scalfirne la sua invulnerabilità. 

Uno dei cinecomics più attesi degli ultimi anni, più di centocinquanta milioni spesi per la promozione, accompagnato da uno strascico di polemiche fin dalla conferma di Ben Mascellone Affleck nel ruolo di Bruce Wayne e di Zack Incapace Snyder alla regia, Batman v Superman: Dawn of Justice non solo riportava al cinema il Cavaliere Oscuro dopo l'ignobile capitolo finale della trilogia di Christopher Nolan, ma lo posizionava in una lotta all'ultimo brandello di mantello contro quel supereroe che solo Quentin Tarantino è riuscito a rendere interessante nel monologo di Bill in Kill Bill ovvero Superman (esistono davvero quelli che vanno al cinema con il suo logo stampato sulla maglietta?). Inoltre l'armatura e relativa maschera che Batman indossava durante i trailer era chiaramente ispirata a quella disegnata da Frank Miller - l'autore di fumetti che più di ogni altro ha rivoluzionato la figura del supereroe della DC comics - senza contare il suo mordace atteggiamento e la sua rabbia repressa che sembrava scaturire direttamente dalle pagine de Il ritorno del cavaliere oscuro, in più alla festa a base di pugni e sguardi truci partecipavano pure Lex Luthor e Wonder Woman. C'erano tutti gli elementi per sfregarsi le mani, leccarsi i baffi, e andare al cinema godendo della visione non di un capolavoro (ma chi ci sperava, dai), ma di un ottimo e solido film d'intrattenimento. Le alte aspettative saranno state ripagate?

Il film si apre con efficaci titoli di testa in cui si narra l'arcinota storia che ha portato Bruce Wayne a diventare Batman, il vigilante oscuro che di notte combatte il crimine nella città di Gotham. In seguito vediamo Bruce Wayne accorrere a Metropolis dove infuria lo scontro tra Superman e Zod (L'uomo d'acciaio): tra cittadini impauriti fatti evacuare, pezzi di palazzi che si infrangono al suolo, e caos ovunque, Bruce, mentre la lotta imperversa nel cielo, assiste al crollo di uno dei palazzi della Wayne Enterprises. In un colpo solo centinaia di morti gli si riversano su quella parte di sé che vorrebbe ardentemente salvare tutti, e l'odio per quell'alieno sceso dal cielo (e diciotto mesi dopo acclamato dal popolo come una sorta di Gesù Cristo salvatore) si fa strada attraverso il suo animo tormentato fino ad arrivare alle porte del suo cuore dove viene accolto e fatto crescere come una creatura a se stante. 

I cittadini di Metropolis vedono in Superman non un alieno dai fini poco umanisti, bensì una sorta di Dio in tuta blu e mantello rosso che tra nuvole squarciate dai raggi solari appare a chi si trova in difficoltà. Bruce Wayne/Batman, d'altro canto, vorrebbe che tutti lo vedessero come una potenziale minaccia per il mondo intero, e il ricco imprenditore Lex Luthor, convinto che i diavoli arrivino direttamente dal cielo, trova un misterioso minerale (la kryptonite) che è in grado di corrompere e alterare le cellule kriptoniane. E la prima ora e mezza di Batman v Superman la si accantona, talmente piena zeppa di roba da risultare debordante e spesso confusionaria. 

Ben Affleck, tutto sommato, si rivela essere un buon Bruce Wayne/Batman: arrabbiato, rancoroso, quasi stremato da vent'anni di lotta al crimine, ormai fuori posto, quasi estraneo alle feste mondane, assorbito dal suo odio verso quell'alieno che ha causato la morte di centinaia di innocenti. Certo, se avesse evitato di dire "Ommerda" come un Massimo Boldi qualsiasi sarebbe stata cosa assai gradita. Henry Cavill sarebbe meglio perderlo tra le macerie che ritrovarselo in un'altra pellicola. Gal Gadot voleva essere il simbolo dell'affermazione femminista nel mondo DC mentre è semplicemente calata in un ruolo (per ora) piuttosto "inconsistente" che pronuncerà sì o no cinque battute in croce; discorso diverso per Jesse Eisenberg che rende il suo Lex Luthor, attraverso una logorrea accigliata, uno psicopatico burattinaio di supereroi. 

Batman v Superman: Dawn of Justice, senza tanti giri di parole, è una sòla, un bluff a poker che ti fa rimanere in mutande schiumante di delusione, una storia potenzialmente epica e rinvigorente soffocata dalla regia di uno Zack Snyder intento a riempire ogni scena di caotica CGI, muscoli, pioggia che guarda caso non sfiora mai i volti e i mantelli dei supereroi neanche fossero immuni, e dalla sceneggiatura ignorante di un Chris Terrio e David S. Goyer che forse lungo tutta la loro vita non hanno leggiucchiato di sfuggita neanche un graphic novel dedicato al Cavaliere Oscuro, tanto meno i capolavori di Frank Miller (soprattutto Il ritorno del cavaliere oscuro) da cui pareva essere tratto questo Batman dark, feroce e violento. Invece la possanza e l'oscura presenza del Batman di Zack Snyder viene buttata nel tritarifiuti del ridicolo nel giro di un'unica vergognosa e imperdonabile scena. 

Dalla lotta con Doomsday fino al termine della corsa il film - che era entrato nel pieno del conflitto fra Batman e Superman - prende una piega insopportabile (è avvilente vedere Batman diventare best friend di Superman e nascondersi dietro le macerie con un caspita di fucile mentre lui e Wonder Woman lottano contro la creatura aliena) e soporifera dove ci si ritrova a sperare solo che finisca al più presto così da andare a mangiare un boccone. Come se non bastasse il caro Zaccaria Smerder posiziona tre o anche quattro possibili finali uno dietro l'altro, in sequenza, di modo che (manco fosse un istruttore di fitness) costringa lo spettatore ad alzarsi dalla poltrona altrettante volte proprio come se dovesse fare degli esercizi per mantenere tonici i glutei. 

Batman v Superman: Dawn of Justice aveva tutte le carte in regola per essere la scala reale dei cinecomis: l'epica dietro i due supereroi più famosi del mondo avrebbe permesso a qualcuno dotato di senso estetico, conoscenza della materia, e abilità nell'arte visiva di trarne il meglio possibile e immaginabile; purtroppo il risultato ottenuto non è nient'altro che una pellicola incassa-incassa con il compito principale di preparare il terreno per i prossimi film della Justice League. Davvero un epico spreco. 

giovedì 17 marzo 2016

Veep - Stagione 4

★★★★

Veloce recap delle stagioni precedenti: la seconda stagione di Veep parte benissimo, si affloscia leggermente nel sesto e settimo episodio con una Selina sull'orlo di una crisi di nervi, e finisce per prendere il volo con la VP che decide di candidarsi alle elezioni presidenziali. La terza stagione invece, incentrata sull'impegnativa campagna elettorale di Selina Meyer, inizia in maniera fiacca per poi riprendersi sempre più vivacemente. Da segnare l'episodio 6 che tratta l'annosa questione delle armi e l'episodio 7 il cui viaggio a Londra di Selina è esilarante. 

Ma è nella quarta stagione che Veep fa un salto di qualità incredibile diventando una serie Tv davvero da non perdere per nessuna ragione al mondo la cui quinta stagione (che inizierà il 24 aprile) attendo con trepidazione. Perché a differenza del suo collega House of Cards, la serie Tv creata da Armando Iannucci, attraverso gli errori comici dello staff e del presidente Selina Meyer, e non mediante trame spionistiche, omicidi, intrighi infiniti, fa riflessione politica e satira feroce e deliziosamente (s)corretta. 

Il cast è tra i più affiatati in circolazione. Ogni attore dà al suo ruolo una particolarità, non si potrebbe fare a meno di nessuno dei personaggi (che Veep sarebbe senza Gary? Dai) e quando si intuisce l'improvvisazione è tutto grasso che cola. Julia Louis-Dreyfus è una mattatrice di prim'ordine, figlia del Saturday Night Live, non sbaglia né un tempo comico né un'espressione a pagarla e le sue uscite ("Ti piace fare sesso e viaggiare? E allora vai a farti fottere") metterebbero in imbarazzo anche un masso di granito come Frank Underwood. 

Ma è dall'episodio 5 di Veep che gli effetti dei pastis di Selina Meyer cominciano a venir più o meno contenuti grazie all'entrata in scena del nuovo Vicepresidente. Lui, senza bastone, senza barbetta grigia, non attorniato dagli immancabili Chase, Foreman e Cameron e per nulla facente uso di Vicodin. Sì, sto parlando proprio di Hugh Laurie. Immaginate le mie urla quando ho scoperto che il senatore Tom James il quale accetta di essere il nuovo VP di Selina Meyer è l'attore che volente o nolente sarà sempre l'amatissimo/odiatissimo Dr. Gregory House. Entusiasmo da groupie manco a dirlo. 

Nella storia dell'umanità non si è mai verificato un pareggio nella notte delle elezioni presidenziali americane e quel genio di Iannucci non solo lo pensa, ma lo racconta in uno splendido episodio tirando in ballo il XX emendamento della cui esistenza, forse, neanche gli statunitensi sono a conoscenza. Chiudo col dire che il penultimo episodio di questa incredibile quarta stagione è difficilmente (perché scriverlo deve essere stato tutt'altro che semplice) sorprendente. 

giovedì 10 marzo 2016

Shameless - Stagione 5

★★★½

Molto probabilmente se rimanessi chiuso in una stanza con Gus Fring, Pablo Escobar e Carl Gallagher avrei una paura fottuta di ritrovarmi appeso per i piedi e torturato non dai primi due temibili e organizzati narcotrafficanti, bensì dal membro psicopatico della folle famiglia Gallagher che in questa quinta stagione raggiunge il luogo di cui si interessava maggiormente fin da quando era un bambino che inseriva la bambole nel forno a microonde: la prigione. 

Impensabile come nella quinta stagione di Shameless ci si ritrovi a parteggiare per Frank nella sua lotta contro quella sciroccata di Sammi (figlia maggiore acquisita), inimmaginabile fino a quattro stagioni fa vedere Frank tenere veramente a una donna senza provare a circuirla, e poi è strano come Debbie sia cresciuta e rimasta bambina allo stesso tempo: picchia le ragazze, le minaccia nei bagni della scuola per ricevere consigli in fatto di ragazzi, ma resta quella ragazzina insicura, bisognosa d'affetto, che per il bacio di colui che le piace salta, fa le giravolte, e ha il viso radioso di chi non ci crede ancora. 

E' appurato che la fedeltà non è tra i valori di Fiona Gallagher, ma le vogliamo bene lo stesso. Il suo carosello di uomini in questa stagione (Sean - un Dermot Mulroney ritrovatosi -  che non ci sta, finora; Guss, musicista jazz che sposa nel giro di due giorni; e Jimmy che fa il suo ritorno solo per dimostrare quello che è ed è sempre stato: un cazzone) non fa che accrescere la voglia di vederla sistemata con un uomo dabbene che sappia accettare il caos della sua famiglia che inevitabilmente si porta dietro uno strascico di illegalità (Carl finisce in galera per spaccio), problemi di salute (Ian è bipolare proprio come la madre Monica), di cuore (Debbie e Fiona),di coppia (Kevin e Veronica) e di parenti nuovi che spuntano come tumori (Sammi, la detestabile Sammi e suo figlio ritardato Chuckie). 

Momenti che ti demoliscono (il ricovero di Ian e il suo arresto da parte dei militari dopo un bellissimo pomeriggio trascorso con Mickey), piccolissime scene mute che fanno la differenza (La sera del giorno in cui Sean dice a Fiona "Tu porti il caos" lei porta Debbie a un concerto e lì, per difenderla dalle avances di un viscido, fa a botte. Scappano dal locale a rotta di collo. Per riprendere fiato si fermano. Debbie è eccitata, sconvolta. Fiona si accascia contro un muro e guarda sua sorella. Le vediamo negli occhi la realizzazione delle parole di Sean), la vivace colonna sonora che accompagna le gesta dei Gallagher, e quell'affezione ai personaggi che ho provato solo per quelli de I Soprano, The Leftovers, Mad Men e Downton Abbey: tutto questo e altro ancora è la quinta stagione di Shameless che pur non raggiungendo i fasti della quarta si mantiene su un livello di piacevolissima godibilità.

Insomma, dopo cinque stagioni ci si rende conto che la famiglia Gallagher è una malattia. Una malattia decisamente sana, però. 

giovedì 3 marzo 2016

Benedizione di Kent Haruf


Una benedizione. Questo libro è una benedizione in mezzo al tritacarne di gialli scandinavi, libri sul Papa, autori italiani al di sotto della soglia di mediocrità, fantasy di dubbio gusto e porcate erotiche che di erotico non hanno neanche i brividi di repulsione che solo la loro vista in libreria provoca. E una benedizione è NN Editore il cui merito è quello di aver pubblicato due dei tre libri della Trilogia della pianura di Kent Haruf (BenedizioneCanto della pianura e il terzo, intitolato Crepuscolo, è previsto per giugno) - doverose le congratulazioni a Fabio Cremonesi per l'ottima traduzione - oltre ad aver fatto scoprire ai lettori italiani uno splendido autore americano che, tolti i paragoni esagerati con William Faulkner e Cormac McCarthy, tratteggia la vita americana con una placidità su cui ci si merita di essere cullati. 

Nella piccola cittadina di Holt in Colorado a Dad Lewis viene diagnosticata una malattia incurabile che lo porterà alla morte in pochi mesi. Accanto a lui vi sono la devota moglie Mary e l'amorevole figlia Lorraine che lascia il lavoro per accudire il padre e aiutare la madre. In questo piccolo e quieto spaccato di vita americana vi troviamo personaggi i cui gesti sono ancora intrisi di una bontà disinteressata: vi sono le Johnson, madre e figlia, cortesi e disponibili, la prima vedova da molti anni e la seconda ormai zitella consapevole e rassegnata; la vicina di casa dei Lewis, Berta May, che cresce la nipote dopo la morte prematura della madre; i fedeli e leali aiutanti di Dad, Bob e Rudy, che sono parte integrante del negozio di ferramenta che da anni gestisce in Main Street; e infine il reverendo Lyle, arrivato da poco a Holt, che, tentando di smuovere le menti dei cittadini abituati sempre ai soliti discorsi dal pulpito, mette a rischio il suo ruolo e la sua già fragile realtà familiare. 

La scrittura di Kent Haruf è impeccabile. Esatta e sobria, come la descrive il traduttore. I capitoli (il 15 è un esempio di sintesi e pacata intensità narrativa) sono condensati in cinque pagine o poco più. Le descrizioni dei personaggi di solito sono lunghe mezza riga. Perché sono i dialoghi (in puro stile McCarthy ovvero senza virgolette) e le azioni che vanno a scolpire la loro psicologia, il loro carattere, il loro esistere all'interno del romanzo. 

Leggendo Benedizione ci si riappropria del senso del gesto come sedersi fuori sulla veranda a godersi la pioggia che bagna il terreno arso dall'estate calda o sentire l'acqua fresca di un abbeveratoio sul proprio corpo o una piacevole brezza sulla pelle o ancora guardare dal di fuori il luogo in cui si ha lavorato tutta la vita. Ed è proprio la vita, quella che ci restituisce Kent Haruf: con tutto il suo fiatone dopo essere arrivata al termine della corsa. Ebbene sì, il traguardo sta per essere tagliato anche se troppo presto. E' stata una bella vita, quella di Dad Lewis, anche se non perfetta (e quale lo è?). Amato da una moglie devota e da una figlia che conosce bene il senso di vuoto che lascia una perdita. Forse con qualche rimpianto, come quello di non essere riuscito a capire suo figlio. Ma così è la vita. La si prende e si dice grazie. Grazie, Kent Haruf. 

martedì 1 marzo 2016

Life Is Strange - I toni caldi del tempo (e dell'amicizia)


Amo i videogiochi. Forse è la prima volta che lo ammetto in un post ed è sicuramente la prima volta in cui prendo in esame - con tutto il trolley d'ignoranza che mi porto dietro - un videogioco vero e proprio. E' un po' come quando ho dedicato un post a The Leftovers dopo essermi promesso che mai avrei scritto di serie Tv: succede che vedi qualcosa che ti sconvolge talmente in positivo che la tua prima azione è quella di condividere l'entusiasmo per l'esperienza provata con il tuo caro e amato pubblico. Ed è ciò che è successo con Life Is Strange, un'avventura grafica divisa in episodi rilasciati a cadenza bimestrale a partire dallo scorso anno, che da poco meno di un mese ha potuto essere fruita da tutti i possessori di console grazie all'edizione retail avente i tanto agognati sottotitoli in italiano. 

Tra le esperienze emotive più fortificanti che abbia mai provato ve ne sono sicuramente quattro o cinque legate al mondo videoludico: l'entrata paradisiaca nella città di Columbia circondata dalle note angeliche di Wille The Circle Be Unbroken in Bioshock Infinite; il viaggio da incubo di James Sunderland che si reca a Silent Hill dopo aver ricevuto una lettera dalla sua defunta moglie Mary in quel capolavoro d'atmosfera e di orrore psicologico che è Silent Hill 2; il momento in cui John Marston, eroe di Red Dead Redemption, oltrepassando il confine che separa gli Stati Uniti dal Messico, mette piede per la prima volta sul suolo messicano e cavalca verso il tramonto sulle note di Far Far Away; l'epicità in un joystick quando si gioca alla saga di Mass Effect e i brividi causati da una semplicissima melodia di pianoforte verso la fine di una delle avventure videoludiche più intense ed emozionanti che possiate mai portare a termine. 

Max Caulfield è una giovane studentessa che frequenta la prestigiosa Accademia Blackwell in una piccola cittadina dell'Oregon, Arcadia Bay, affacciata sull'Oceano Pacifico. Qui studia fotografia e sogna un giorno di poter diventare un'artista. Ama scattarsi quelli che in gergo sono i selfie, è affascinata dal professore Mark Jefferson, ed è presa di mira dalle ragazze chic e figlie di papà della scuola per via del suo look per nulla alla moda. Un giorno, dopo essere entrata nel bagno delle donne, assiste a una lite tra Nathan Prescott (il classico figlio del più generoso benefattore della scuola) e la sua migliore amica Chloe che sfocia nella morte di quest'ultima per mano del ragazzo. Ed è qui, soltanto uscendo allo scoperto e gettando un braccio verso l'amica morente, che Max scopre di avere un potere immenso capace di cambiare per sempre la sua vita e quella di tutte le persone che la circondano: il potere di riavvolgere il tempo.

"Da grandi poteri derivano grandi rotture di palle". Armeggiando con il vostro nuovo potere, vi ritroverete a dover convincere una studentessa a non gettarsi dal tetto del dormitorio; potrete scegliere se umiliare o meno la ragazza più cool della scuola; firmare o meno una petizione per salvaguardare l'ambiente marino di Arcadia Bay: a voi la scelta; preferite che una ragazza venga colpita da una palla da rugby in piena nuca oppure meglio riavvolgere il tempo evitando così che accada? Insomma, al giocatore viene lasciata la possibilità di scegliere il comportamento di Max da tenere con i compagni, i professori, il preside, il capo della sicurezza, e con la migliore amica Chloe. Il lavoro svolto a livello di sceneggiatura è egregio: gli adolescenti parlano come tali e i riferimenti al cinema, alle serie Tv (Twin Peaks in primis) non si finisce di contarli. La grafica texturizzata ad acquerello potrebbe far storcere il naso ai maniaci della grafica perfetta mentre per quanto mi riguarda (ammetto di cedere troppo spesso al fascino della grafica) appare splendida con quei toni caldi così avvolgenti e morbidi da sembrare di essere immersi in una poesia di Keats. Così come la colonna sonora si coniuga alla perfezione con le immagini dirette e montate con quel pizzico di savoir-faire registico che non si può non apprezzare. 

Credo di non essermi mai goduto così un videogioco senza avere il pensiero fisso degli ultimi minuti finali. Anche perché ogni episodio viene concluso con un'immagine mozzafiato (o nel caso del penultimo con un cliffhanger) come un'inaspettata nevicata nel pieno dell'estate di una piccola cittadina dell'Oregon che tanto mi ha ricordato la pioggia di rane in Magnolia o con la sconvolgente scoperta di ciò che un cambiamento significativo compiuto nel passato può modificare il futuro e stravolgere completamente la vita di una persona cara (credetemi se vi dico che se non fossi stato seduto io sarei caduto privo di sensi sul pavimento).

Non importa se le scelte compiute durante Life Is Strange hanno pochissime se non nessuna ripercussione sul finale - il quale metterà di fronte lo spettatore a due scelte estreme (un po' come Beyond) che cambieranno radicalmente il futuro di Arcadia Bay e di Max e Chloe - perché le scelte che si compiono durante il videogioco vanno a influenzare pesantemente sia Max sia la vita di coloro che la circondano nel presente. Perché ciò che lascia al giocatore Life Is Strange è una di quelle fotografie da appendere alla testata del letto o vicino allo specchio: che sembrano dire questo: noi non siamo coloro che salgono sul palco per i saluti finali. Noi siamo il risultato delle scelte compiute durante questo strano viaggio chiamato vita.