venerdì 21 agosto 2015

Le correzioni di Jonathan Franzen è un libro bellissimo, vero?


"Qualcosa di terribile stava per accadere, lo si sentiva nell'aria."
"Stavo per mettermi a leggere Le correzioni. E le gonadi 
non sarebbero mai più state le stesse". 

Sono piuttosto sicuro quando affermo che Jonathan Franzen è una delle persone che più detesto assieme a Steven Spielberg, Lars (Von Caghé) Trier e Barbara d'Urso. Guai a toccarlo però. "Come osi toccare l'unico scrittore che ha resuscitato il romanzo fino a quel momento morente?", "Il più grande scrittore contemporaneo". Eh, certo, come se Roth, DeLillo, McCarthy, Pynchon, McEwan, Busi fossero stati lì a grattarsi gli zebedei sotto l'ombrellone per tutto il tempo in cui il piccolo Franzenino nasceva, cresceva e correva senza purtroppo però schiantarsi contro un muro. Nonostante la mal sopportazione che riverso su quel suo viso da radical snob altezzoso mi sono preparato alla lettura de Le correzioni in una prima edizione un po' consunta ma neanche troppo e in pochi giorni, dopo vari mal di stomaco, sbuffi annoiati stile treno a vapore, ma-li-mortacci-tua, ho concluso la lettura di tal pomposo volume

Il suo romanzo che l'ha - ingiustamente - consacrato nell'Olimpo dei (veramente) grandi scrittori americani, Le correzioni (edito Einaudi, traduzione di Silvia Pareschi) - considerato tutt'oggi, dopo quattordici anni dalla sua pubblicazione, un "capolavoro della letteratura americana" - è tremendamente pedante, noioso, tracima dettagli inutili dai bordi della pagine fittissime, e sopra ogni cosa inconcludente. Anche quando si arriva alla 599esima pagina - perché sì, cari lettori, Franzen, per dire ciò che Lev Tolstoj aveva scritto in due righe all'inizio di Anna Karenina, ci impiega quasi seicento pagine stoppose in cui i personaggi, i membri della famiglia Lambert, ne escono per quello che sono in realtà: fili di fieno su cui il "funambolo del nulla" cammina con la cieca convinzione di star compiendo un'impresa da record - ci si ritrova a esclamare col volto più stremato mai sfoggiato "e allora? Tutto qui quello che sai fare, Jonathino?". 

La famiglia Lambert è la peggior famiglia della letteratura in cui mi sia imbattuto in anni di lettura. Il capofamiglia, Alfred, ora affetto da una forma iniziale di Parkinson, è stato nella vita un ingegnere in una compagnia ferroviaria dedito al lavoro e contrario all'ozio. Un uomo riservato - "il più grande favore che si potesse farli era rispettare la sua privacy" -, discepolo di Schopenhauer, (perché l'uomo intelligente deve avere a che fare con gli stupidi?), incapace di riversare affetto fisico sulla moglie Enid e i figli. La moglie invece è lo Chanel n°5 della più bieca borghesia: nasconde sotto cumuli di discorsi la sua insoddisfazione sessuale; la classica mamma che avrebbe voluto che i figli assomigliassero tutti a lei o che almeno fossero l'esemplificazione dei sani valori della famiglia americana; Una donna fastidiosa come un moscone che sfodera il suo entusiasmo solo per delle piramidi di gamberetti viste durante l'inaugurazione di una casa borghese e con un unico pensiero fissi in testa: raggruppare tutta la famiglia attorno alla tavola per un ultimo Natale insieme. Chip, il primo figlio che fa la sua comparsa nel capitolo "Il fallimento", esprimendo perfettamente ciò che penso sul personaggio, è un professore di un college espulso per essere andato a letto con una studentessa. Una specie di sessuomane impelagato nella stesura di una sceneggiatura intitolata La porpora accademica, dove la parola "seni" compare un numero spropositato di volte, che è la più brutta copia delle più brutte copie dei personaggi di Philip Roth. Jonathino tenta di copiare il maestro, ma come il più imbranato degli alunni si merita di andare dietro la lavagna in ginocchio sui ceci. 

Poi abbiamo Gary, dirigente di banca, l'unico dei tre Lambert che s'è costruito una famiglia, depresso, simpatizzante dell'alcol e così paranoico che è convinto che la moglie Caroline - una cheer-leader con il cervello di Peter Pan - gli stia mettendo i tre figli contro di cui uno, Jonah di sette anni, a proposito di un volume de Le Cronache di Narnia così si esprime "è letteratura per ragazzi di ottima qualità". Capperi, un piccolo Jonathan imberbe, praticamente. E infine c'è Denise, chef di successo fotografata dal New York Times, tanto competitiva quanto sentimentalmente complicata, eterosessuale parecchio lesbica che, cercando di portarsi a letto il suo datore di lavoro, finisce per andarci con la moglie di quest'ultimo. Tutti e tre i figli hanno un particolare rapporto con i genitori. Chip se ne discosta totalmente tanto che un Natale, accortosi che non aveva inviato i regali alla famiglia, incarta i primi oggetti trovati nell'appartamento, e li spedisce incartati grossolanamente. Gary invece è legato alla madre ed è l'unico ad aver ereditato la sua concezione di famiglia portandola avanti come meglio ha potuto e Denise ha moti d'affetto verso il padre. Peccato che tali personaggi siano come dei pulviscoli che svaniscono quando alzi la tapparella da cui filtrano i raggi del sole la mattina. 

Ne Le correzioni non c'è mai un momento in cui un solo personaggio smetta di essere tale per diventare finalmente persona che viva al di là del gesto dell'aprire il libro. E quello che più mi fa diventare i capelli precocemente bianchi è che Franzen viene accostato a Charles Dickens, lo scrittore che più di ogni altro è riuscito a scolpire una galleria di persone viventi, non semplici personaggi adibiti alla carta, che puoi addirittura incrociare per strada per quanto sono reali e pulsanti di vita mentre ne leggi le vicende. Avrei voluto struggermi di dolore quando Enid scopre che il suo nipotino prediletto non è venuto assieme al padre il giorno di Natale, ma non ce la facevo, era impossibile; sarebbe stato uno struggimento vano per un semplice personaggio fatto di carta e inchiostro (e isterie). Volevo essere legato almeno a uno dei membri della deprimente famiglia Lambert, ma come si fa a essere legati a Chip, Gary, Denise, Enid o Alfred? Per quest'ultimo si ha quantomeno un briciolo di compassione per aver sopportato quarantotto anni quell'asfissiante piccola-borghese di sua moglie.

Il romanzo avrebbe dovuto avere come sottotitolo "o cosa succede quando uno scrittore preconfeziona un libro dall'inizio alla fine". Le correzioni non è nient'altro che una masturbazione, uno specchio in cui Franzen si è specchiato come Grimilde chiedendo all'immagine riflessa chi sia il più grande scrittore americano se non lui stesso. Ed è il suo terzo libro pubblicato, voi direte, "beh, deve essere migliorato dopo i due libri precedenti", invece no, la spocchia non s'è piegata manco di un grado: se è inconcludente il suo terzo romanzo figuriamoci quanto lo sono i primi due e soprattutto l'ultimo pubblicato, Libertà, che, oltre a volerlo riaffrontare in seguito, mi ha causato, solo dopo una ventina di pagine, una violenta influenza intestinale, il quale ha davvero la presunzione di voler essere il grande romanzo americano, definizione usata da molti critici col culo a stelle e strisce se li dovessi incontrare per strada. Eppure milioni di americani l'hanno letto, ci si sono rispecchiati (ma che famiglia disastrata hanno questi?), e ha raccolto solo e soltanto critiche entusiaste tranne dall'accorto Harold Bloom che da anni considera Franzen un mediocre scribacchino.  

Ma poi le metafore che incontrerete nella sfiancante lettura del romanzo sono qualcosa di un kitch allucinante: "Denise guardò il cielo che conficcava forchette di lampi nell'insalata di alberi all'orizzonte dell'Illinois"; "Quel cammello di delusione recalcitrò davanti alla cruna dell'ago della disponibilità di Enid a farlo passare"; "L'occhio aperto sembrava una goccia scura di aceto balsamico su un frammento di porcellana bianca"Seriamente, Jonathan? Con quale bevanda rinfrescavi la tua gola mentre eri curvo sul pc (ommiddio, usi il pc? ma lo sai che è tecnologia? opera del diavolo consumistico, liberatene al più presto) a battere i tasti che avrebbero formato tali pinzillacchere? La stessa con cui si è rinfrescato Spugna, sicuro come il fatto che Le correzioni non è affatto il capolavoro che tutti i lettori decantano come se fossero usignoli dediti ai canti entusiastici. E' un romanzo che lascia trasparire l'essere tronfio di chi ci sta dietro tralasciando di infondere soffio vitale ai personaggi che senza, invece, restano burattini cascanti come fili di ragnatela dalla penna del burattinaio. Che con Purity - suo nuovo libro in uscita a settembre in America di cui potete trovare un estratto quest'oggi su IL - possa farmi ricredere definitivamente sul suo conto? La vedo come Bossi vedeva le proboscidi leghiste: dura. 

3 commenti:

  1. Questo mi manca. Ho letto "Libertà" e mi è piaciuto, anche se non mi sono strappato i capelli, però ammetto che poteva essere lungo un quarto in meno e non sarebbe cambiato nulla.
    Questo prima o poi lo leggerò, anche perché sono curioso. Poi dai, è da molto che non litighiamo su qualcosa ♡

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    1. Ecco, leggilo che poi ci diamo le bottigliate ;)
      Libertà se fosse durato 32 pagine sarebbe stato un discreto racconto.

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    2. Ti dirò, tantissimi punti che mi hanno emozionato e molti altri che mi hanno fatto storcere il naso. La morale complessiva però l'ho trovata molto bella, anche se appesantita dallo zelo dell'autore.

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