venerdì 30 maggio 2014

Young Adult: quando la sindrome di Peter Pan colpisce Charlize Theron

Young Adult


★★★

Mavis Gary (Charlize Theron) è la ghostwriter della famosa collana Waverly Prep appartenente alla categoria Young Adult di cui sta scrivendo l'ultimo capitolo, che un giorno, all'improvviso, torna a Mercury, la città della sua fanciullezza per una trattativa immobiliare, così lei dice in giro, ma il vero motivo del suo ritorno è riconquistare il suo fidanzato del college Buddy Slade (Patrick Wilson), neopapà e felicemente sposato. Dopo anni incontrerà anche Matt Freehauf (Patton Oswalt) che aveva l'armadietto proprio accanto al suo, vittima ai tempi di un crimine dell'odio (picchiato a sangue perché creduto gay) e ora costretto a camminare con una stampella e affetto da problemi ai genitali che cercherà di farla desistere dal distruggere una famiglia felice.


Il regista Jason Reitman e la sceneggiatrice premio Oscar Diablo Cody collaborano per la seconda volta dopo il grande successo di pubblico e critica di Juno, che ho molto amato, e partoriscono (mai verbo è stato più azzeccato con loro) Young Adult, una piacevole dark comedy su una donna insoddisfatta (interpretata da una bravissima Charlize Theron irresistibile anche con le caccole agli occhi e la fiatella mattutina), che non disdegna l'alcol, affetta da tricotillomania (si strappa i capelli, in parole povere) con un matrimonio fallito alle spalle e che ha occasionali rapporti sessuali. Scrive per una collana di libri per ragazzi che non vende più come una volta, sente tra i corridoi del supermercato o alla cassa di un fast food giovani ragazze dire frasi curiose riguardanti le loro situazioni sentimentali e lei le riporta con precisione nell'ultimo libro che sta scrivendo (per esempio: "Chimica telematica" o "Sei il mio sole, le mie stelle sei tutta la mia galassia") e il suo nome compare soltanto nella parte inferiore delle bandelle laterali dei libri che si accumulano invenduti sugli scaffali delle librerie. Perché un giorno decide di tornare nella sua città natale? Per cercare ispirazione? Per andare a trovare i suoi genitori? Perché si annoia in città? No. Torna a Mercury per riassaporare il tempo del college. Per riacchiappare un amore passato al fine di migliorare la sua vita presente. Così prende l'auto ascoltando per tutto il tragitto la solita canzone: The Concept dei Teenage Fanclub.


Mavis rivede il suo vecchio fidanzato ed è così ancorata al passato che non riesce o non vuole vedere in faccia la realtà: Buddy è sposato con una dolce donna che suona ogni tanto la batteria in una band improvvisata composta da madri di famiglia, è padre di due bambini ed è felice nelle sue quattro mura di compensato ammobiliate con oggetti presi al mercatino delle pulci. Cerca di farglielo capire anche Matt, il personaggio più ricordabile del film, che distilla scotch nel suo garage e non è molto contento che Mavis si scoli tutta la bottiglia di scotch invecchiato otto anni e neanche che tocchi con noncuranza i robot che fabbrica unendo pezzi di altri robot. L'impegno caratterizza Matt; e questi hobby servono per farlo evadere dalla sua condizione di storpio. Come potrebbe capirlo, Mavis? che ha avuto tutto nei tempi in cui Matt veniva preso di mira da atleti acefali e picchiato solo perché creduto omosessuale? Eppure dopo la disastrosa festa della figlioletta di Buddy lei torna a casa di Matt a farsi confortare da lui e questa è sicuramente la scena più bella del film: Mavis si toglie il vestito macchiato di vino e chiede a Matt di darle la sua maglietta. Vediamo che Mavis sotto l'abito indossa un push-up e anche una panciera. Là dove uno si sarebbe fermato o avrebbe fatto domande inopportune Matt invece la prende tra le braccia e ha il rapporto più bello della sua vita - e forse anche l'unico. 


Non ho mai provato una sorta di empatia verso le donne come Mavis, che hanno vissuto alla grande il tempo del college quando venivano invitate ai balli studenteschi da atleti ignoranti a cui facevano fellatio durante la pausa pranzo o andavano nel bosco a consumare rapporti sessuali. Fanciullezza disincantata fatta di magliette sudate regalate alle proprie amate come pegni d'amore eterno. Questo periodo scolastico americano (e non solo) dove il bello vive bene e il brutto viene confinato nell'inesistenza amorosa; dove il classico nerd impara a capire che non c'è amore per lui se non manualmente o a pagamento. Mavis di Young Adult tenta di ritornare al suo massimo splendore quando non s'accorge, se non alla fine, che sta vivendo ora il suo massimo splendore, e chissene importa se il davanti dell'auto è distrutto perché si può aggiustare. Mavis può ancora aggiustare il tiro che ha preso la sua vita. E' come la ragazza di cui sta scrivendo: chiude definitivamente l'armadietto del college ed esce all'aria aperta avendo ancora tutta la vita davanti a sé. 

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia): 

Titolo originale: Young Adult
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: USA
Anno: 2011
Durata: 94 min
Generecommedia
Regia: Jason Reitman
Sceneggiatura: Diablo Cody

Interpreti e personaggi:
Charlize Theron: Mavis Gary
Patton Oswalt: Matt Freehauf
Patrick Wilson: Buddy Slade
Elizabeth Reaser: Beth Slade
Collette Wolfe: Sandra Freehauf
Jill Eikenberry: Hedda Gary
Richard Bekins: David Gary
Mary Beth Hurt: Jan
Kate Nowlin: Mary Ellen Trantowski
Hettienne Park: Vicki

Doppiatori italiani:
Roberta Pellini: Mavis Gary
Luigi Ferraro: Matt Freehauf
Simone D'Andrea: Buddy Slade
Daniela Calò: Beth Slade
Selvaggia Quattrini: Sandra Freehauf
Serena Verdirosi: Hedda Gary

Denny B.









mercoledì 28 maggio 2014

Juno - 16 anni e incinta

Juno

★★★★
Fonte foto: www.cinemadelsilenzio.it
Juno (Ellen Page) è una sedicenne che rimane incita dopo la sua prima esperienza sessuale con il suo amico Paulie Bleeker (Michael Cera), che è da sempre innamorato di lei. Dopo una prima timorosa reazione decide di contattare una clinica dove si occupano di aborti, ma cambia subito idea nel constatare lo stato di degrado della struttura e del personale. Decide così di seguire il consiglio della sua amica Leah (Olivia Thirby): dare il bambino in adozione scegliendo i genitori negli annunci messi sul giornale accanto alla vendita di animali tropicali. E così che Juno, dopo averlo detto a suo padre e alla sua matrigna, che reagiscono con sano umorismo, conosce la coppia ideale: Vanessa (Jennifer Garner) e Mark Loring (Jason Bateman), belli, ricchi e amanti dei bambini.  



Credo di non esagerare quando affermo che Ellen Page sia la più grande attrice della sua generazione (chi è munito di Playstation 3 non può non giocare a Beyond: Two Souls in cui recita assieme a Willian Dafoe mediante la motion capture) e non si può non amarla in Juno, diretto da Jason Reitman, un film brillante, fresco, con personaggi piacevoli e coerenti dall'inizio alla fine. Juno parte come commedia disimpegnata con graziosi titoli di testa disegnati con una semplice canzone di sottofondo e diviene piano piano, e in maniera costante come un ruscello di montagna, di una piacevolezza che stimola l'intelligenza dello spettatore che finisce per amare i personaggi che costellano il film di Reitman.



Juno è un'adolescente dai modi risoluti e non sempre eleganti che risulta quasi un intellettuale quando seduta sulla poltrona, dove si è consumato il suo primo atto d'amore col suo compagno di scuola, tiene una pipa tra le labbra come un'osservatrice matura di una situazione che si ingrossa dentro di lei. Ellen Page è di una timidezza sensuale e ha un viso che riempie di qualsiasi emozione lei voglia. La novità che ho apprezzato maggiormente è questa: Juno resta incinta non dell'onnipresente figo del liceo, ma di Paulie Bleeker, un semplice e ingenuo ragazzo che è innamorato di lei da sempre e che chiama dolcemente "maghetta" presumo per l'incantesimo benigno che esercita su di lei inconsciamente, e che corre ogni mattina chilometri e chilometri con ridicoli pantaloni giallo oro perché fa parte della squadra di cross-country della scuola.



Jennifer Garner è Vanessa Loring, una donna che sente di essere nata per essere madre e nella scena in cui incontra Juno al centro commerciale brilla di sincera maternità. La donna è sposata con Mark, un quarantenne in crisi che tiene le sue cose in una stanza della casa, che sognava di suonare musica rock e compone ora jingle per spot televisivi, con cui si è comprato la cucina, ed è l'unico personaggio maschile indeciso che non sa dove posare definitivamente gli occhi, non sulla moglie, che guarda sempre di sfuggita, né in fondo sulla giovane Juno con la quale ha un rapporto di scambio-musica e niente più.



La sceneggiatura di Diablo Cody è brillante e in una delle scene più colme d'umorismo vediamo il padre di Juno e la sua matrigna che dopo essere venuti a conoscenza dello stato interessante di Juno e dell'identità del padre discutono su chi dei due abbia preso l'iniziativa; certi che sia stata lei, e non il ragazzo. Finale splendido con Juno e Paulie e con le due componenti essenziali che si ripetono in tutto il film: le deliziose canzoni di Kimya Dawson e la squadra di cross-country che passa davanti a loro senza mai fermarsi, senza mai vedere null'altro che l'orizzonte d'asfalto.



Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: Juno
Paese di produzione: USA
Anno: 2007
Durata: 92 min
Generecommedia, drammatico
Regia: Jason Reitman
Soggetto: Diablo Cody
Sceneggiatura: Diablo Cody
Casa di produzione: Fox Searchlight Pictures
Distribuzione (Italia): 20th Century Fox

Interpreti e personaggi:
Ellen Page: Juno MacGuff
Michael Cera: Paulie Bleeker
Jennifer Garner: Vanessa Loring
Jason Bateman: Mark Loring
Olivia Thirlby: Leah
J. K. Simmons: Mac MacGuff
Allison Janney: Bren
Rainn Wilson: Rollo
Lucas MacFadden: insegnante di chimica

Doppiatori italiani:
Alessia Amendola: Juno MacGuff
Davide Perino: Paulie Bleeker
Franca D'Amato: Vanessa Loring
Massimo De Ambrosis: Mark Loring
Domitilla D'Amico: Leah
Massimo Corvo: Mac MacGuff
Aurora Cancian: Bren
Simone Mori: Rollo

Denny B.

lunedì 26 maggio 2014

REFERENDUM: Assegnare le stelle ai film SI o NO?

O Popolo alla riscossa siete chiamati al voto, molto più importante di quello di ieri 25 maggio. Allora, se voi non mi leggeste il blog potrebbe anche chiudere (e posso immaginare le urla di giubilo della blogosfera che s'innalzerebbero a una notizia del genere) quindi ci tenevo a ricevere una vostra eventuale preferenza ovvero: volete che anche io assegni le stelline ai film? 
Il lettore medio non ha pazienza di leggersi le recensioni quindi scorre subito lo sguardo alle stelle assegnate e poi via di nuovo inghiottito in altri impegni ed è per questo che non le ho mai assegnate così se il lettore vuole sapere cosa penso del film si deve leggere la recensione per intero (ma chi ha pazienza al giorno d'oggi?). Ma ahimè, lo ammetto, le stelle sono un linguaggio universale. Il popolo del mondo non capirà la mia lingua, ma le stelle sì, eccome. Quindi visto che vi rispetto e vi ringrazio e vi voglio bene vorrei sapere da voi se adeguarmi oppure continuare a sbattermene. 
Stelle sì o stelle no?
Votate.

Ps: le stelle che assegnerei in caso di maggioranza di sì andrebbero da un minimo di mezza stella a un massimo di quattro.

Denny B.

domenica 25 maggio 2014

THAT'S 70'S DAY: THE DREAMERS

The Dreamers


★★★★

Parigi. Primavera 1968. Matthew (Michael Pitt) è un giovane studente americano che arriva nella capitale francese per imparare la lingua trovando un piacevole rifugio nella Cinémathèque francaise dove un giorno, durante l'occupazione da parte degli studenti, fa la conoscenza della bella Isabelle (Eva Green) che si mostra subito gentile e aperta e gli presenta suo fratello gemello Théo (Louis Garrel). Matthew comincia ad affezionarsi ai suoi nuovi amici i quali lo invitano a casa loro non essendoci i genitori, via per motivi di lavoro, e qui scopre che tra i due fratelli c'è un'intensa intimità ai limiti dell'incesto e in un contesto erotico, quasi onirico, fatto anche di scommesse cinematografiche, i tre ragazzi si conosceranno più profondamente fino al brusco risveglio finale. 


Se qualche generoso benefattore volesse un dì darmi in dono la possibilità di scegliere tra restare tra le mura sicure di uno spazioso appartamento parigino con Eva Green nuda e lo sguardo lascivo premonitore di zozzerie che non passerebbero la censura neanche nel paese più liberale dell'intero globo terrestre e uscire da quelle stesse mura per unirsi a una mandria di giovani urlanti e galoppanti che sventolano bandiere rosse e lanciano molotov o sanpietrini contro le forze dell'ordine credo che non avrei alcun dubbio: Eva Green tutte le ore del giorno tra le mie braccia e le mie gambe rischiando volentieri la caduta dell'organo riproduttivo. E dopo questa piccola introduzione godereccia posso anche incominciare a parlare del film di cui tutti sembrano aver visto solo una scena, ovvero quella della vasca.



I protagonisti di The Dreamers di Bernardo Bertolucci sono giovani studenti appartenenti a famiglie prettamente borghesi con in comune la passione per il cinema (espediente del regista questo per parlare di cinema all'interno di un'opera cinematografica): Matthew scrive settimanalmente alla madre in America raccontandole le novità del suo soggiorno parigino e dei genitori di Isabelle e Théo si sa solo che il padre è un poeta che a tavola discorre di ispirazione e che i suoi unici versi celebri sono "La poesia è una petizione e una petizione è una poesia" e che dice al figlio contrariato dalla passività d'animo del padre che prima di poter cambiare il mondo deve rendersi conto che lui stesso fa parte del mondo e non può restarsene fuori a guardare dentro. 



La coppia Théo e Isabelle in mano a un regista incapace e interessato solo alla componente sessuale l'avrebbe gettata senza indugio in un orgia pornografica dando a Matthew il ruolo di voyeur o di partecipante attivo invece il sobrio colpo d'anca di Bertolucci spinge da una parte i pensieri sconci che lo spettatore avrà fatto la prima volta che ha visto i due nudi sul letto a guardarsi negli occhi e ci mostra un rapporto fratello/sorella simbiotico; sono due metà della stessa persona. "Cosa faresti se i tuoi genitori venissero a sapere di te e Théo?" chiede Matthew a Isabelle. Lei gli risponde: "Mi ucciderei". Dialogo che si ripresenterà alla mente durante il finto finale drammatico studiato in maniera così realistica e inoppugnabile che è l'apice del film prima del risveglio dei sensi obnubilati dal vino, dagli afrori del corpo e dall'amore che unisce i tre protagonisti.


The Dreamers è una prigionia erotica, quasi onirica, imposta a se stessi, le cui sbarre sembrano rispondere a questa domanda: "Io sto bene dove mi trovo?". La risposta è sì. Il mondo attorno a me può crollare, ma se il mio corpo è al sicuro e in compagnia di un altro, perché rischiare? perché lottare assieme ad altri per valori e diritti universali quando penso fermamente che la violenza non porta a nulla se non ad altra violenza? Mi dispiace, ma io me ne torno a casa - questo pensa Matthew alla fine, quando lascia Isabelle e Théo in mezzo ai moti studenteschi del Maggio francese. 


Ecco gli altri blog, oltre al mio, che partecipano al That's 70's Day:



Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: The Dreamers
Paese di produzione: Gran Bretagna, Francia, Italia
Anno: 2003
Durata: 109 min
Generedrammatico, erotico
Regia: Bernardo Bertolucci
Sceneggiatura: Gilbert Adair
Produttore: Jeremy Thomas
Fotografia: Fabio Cianchetti
Montaggio: Jacopo Quadri
Scenografia: Jean Rabasse

Interpreti e personaggi:
Michael Pitt: Matthew
Eva Green: Isabelle
Louis Garrel: Theo
Florian Cadiou: Patrick
Robin Renucci: Padre
Anna Chancellor: Madre

Doppiatori italiani:
Francesco Pezzulli: Matthew
Domitilla D'Amico: Isabelle
Edoardo Ponti: Theo
Stefano De Sando: Pad

Denny B.





mercoledì 21 maggio 2014

My Fair Lady (1964)

My Fair Lady

★★★★

Una sera piovosa il professor Higgins (Rex Harrison), un glottologo britannico di fama internazionale, ascolta sotto il portico il fastidioso berciare della povera fioraia Eliza Doolittle (Audrey Hepburn) e accetta la scommessa dell'amico Pickering (Wilfrid Hyde-White) di riuscire a farla passare come minimo per una duchessa al ballo dell'Ambasciata in soli sei mesi. Ne deriva un estenuante esperimento che darà i suoi frutti, ma ne lascerà anche alle sue spalle, infatti Eliza s'innamora del professor Higgins che pare non ricambiarla affatto, ma il futuro, per entrambi, non riserva alcuna pronuncia errata. 


Il modo in cui mi sono approcciato a quest'opera fa parte della schiera di miei comportamenti fumantini e sguardi insofferenti che riservo a quasi tutti i film appartenenti al genere musical. Una mattina mi ero deciso di vedere Tutti insieme appassionatamente, un classico del genere, ma dopo soli dieci minuti, lo confesso, ho distolto l'attenzione a causa del mio comportamento sopracitato. E ci tengo a dire che ho molta pazienza e Giobbe al mio confronto è un mediocre dilettante. Quindi, accantonato il film, mi sono gettato a capofitto nella visione di My Fair Lady di George Cukor: uno di quei musical che riesce a farsi amare inevitabilmente anche da un critico cinefilo non amante del genere quale il sottoscritto.


My Fair Lady è tratta dall'opera teatrale Pigmalione di George Bernard Shaw e può ricordare anche il celeberrimo romanzo di Mary Shelley, se vogliamo, ed è la storia di una scommessa e della sua buona riuscita. In questa storia sono coinvolti personaggi così irresistibili e caratterizzati benissimo che hanno la libertà di uscire dalla porta principale per traslocare in altri film limitrofi lasciandoci a fissare la scenografia mentre canticchiamo La rana in Spagna gracida in campagna, ma per nostra fortuna non ci abbandonano, mantenendosi sempre con tenacia sul binario fondamentale della coerenza narrativa. Troppo spesso vediamo personaggi lasciati a fare scelte di idiota schizofrenia quando la coerenza con se stessi e la coscienza di esistere, lasciandosi qualche volta andare a sorprese che non stonano con l'abito che s'indossa, è l'elemento di base per entrare nel pantheon dei ricordi. 


Due di questi personaggi sono senz'altro il professor Higgins, interpretato dal premio Oscar (per tale ruolo) Rex Harrison e doppiato dal fantastico Nando Gazzolo ed Eliza Dolittle, la Audrey Hepburn che preferisco, invece di quella nel mediocre Colazione da Tiffany, doppiata da una giovane Maria Pia Di Meo; e sul doppiaggio ce ne sarebbe da scrivere essendo stato uno dei più difficili in assoluto da realizzare. Per il dialetto Cockney della fioraia si è scelto di utilizzare un miscuglio di dialetto pugliese, ciociaro e napoletano e il risultato è lodevole, che al giorno d'oggi forse non si sarebbe più riusciti a raggiungere. Tornando ai personaggi Higgins ed Eliza sono dotati di un ego gigantesco che li porterà più a scontrarsi che a rapportarsi in maniera galante. 


Higgins non è proprio un misogino, è che tratta chiunque alla stessa maniera, che sia duca o panettiere. E' quel che si dice un single per scelta. Una donna minerebbe la sua tranquillità e il silenzio della sua dimora e poi perché diavolo una donna non è come l'uomo? perché "una donna non è come me?" si domanda andando a riprendersi la fuggitiva Eliza. Sì, Eliza a un certo punto fugge dalla prigione fonetica in cui l'ha messa il professor Higgins. Situazioni esilaranti, momenti di riflessione romantica, urla di vocali aperte e stridule, buona riuscita dello scioglilingua "La rana in Spagna gracida in campagna" (scena famosissima) e la vincita della scommessa da parte di Higgins che si prende tutti gli onori dell'esperimento non la rendono una donna realizzata anche se ora parla un perfetto inglese e i gentleman e dame dell'alta società la scambiano per una straniera di sangue reale. Si rende conto che per i due signori lei non era una persona sensibile bisognosa di dolcezza, ma solo una bambola di carne che dopo non sarebbe servita più nemmeno a portar le pantofole. 


Higgins riesce in sol colpo a togliere Eliza dalla miseria linguistica e suo padre Alfred - uno spassosissimo Stanley Holloway - da quella economica (avendolo consigliato a un eminente studioso di politica) considerato che adesso non è più costretto a chiedere quei due spiccioli a sua figlia visto che è il beneficiario di una rendita annuale di ben quattromila sterline. Ma anche lui non è felice. Ormai tutti vengono da lui a chiedere denaro e si sente imprigionato nella moralità piccolo borghese tanto che è costretto a sposare la sua compagna non prima di dire addio alla sua libertà con una serata di bagordi e birra (bellissimo il modo in cui si conclude la scena e la canzone Alfred Doolittle prende moglie). Il loro miglioramento sociale e/o linguistico li eleva dal mondo a cui appartenevano: Eliza torna nel suo quartiere ma nessuno riconosce in lei quella povera fioraia vestita di stracci che sbraitava in un orrendo dialetto ai signori col soprabito. Però sia Higgins sia Eliza sono innamorati l'uno dell'altra, ma non cedono alla facilità di una semplice dichiarazione. Alla fine però tutto si risolverà per il meglio di entrambi. My Fair Lady è uno dei film musicali più esilaranti e frizzanti che mai vedrete. Un perfetto sposalizio tra recitazione superba, ricca scenografia, canzoni azzeccatissime e interpretazioni assolutamente perfette.  

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: My Fair Lady
Paese di produzione: Regno Unito, USA
Anno: 1964
Durata: 170 min
Generecommedia romantica, musicale
Regia: George Cukor
Soggetto: dall'opera di George Bernard Shaw
Sceneggiatura: Alan Jay Lerner
Produttore: Jack Warner
Fotografia: Harry Stradling Sr.
Montaggio: William H. Ziegler
Musiche: Frederick Loewe
Scenografia: Gene Allen, Cecil Beaton, George James Hopkins
Costumi: Cecil Beaton, Michael Neuwirth

Interpreti e personaggi:
Audrey Hepburn: Eliza Doolittle
Marni Nixon: Eliza Doolittle (canto)
Rex Harrison: professor Henry Higgins
Stanley Holloway: Alfred P. Doolittle, padre di Eliza
Wilfrid Hyde-White: colonnello Hugh Pickering
Gladys Cooper: la signora Higgins
Jeremy Brett: Freddy Eynsford-Hill
Bill Shirley: Freddy Eynsford-Hill (canto)
Theodore Bikel: Zoltan Karpathy
Mona Washburne: signora Pearce
Isobel Elsom: signora Eynsford-Hill
John Holland: il macellaio
Bina Rothschild: la regina di Transilvania

Doppiatori italiani:
Maria Pia Di Meo: Audrey Hepburn (dialoghi)
Tina Centi: Audrey Hepburn (canto)
Nando Gazzolo: Rex Harrison
Luigi Pavese: Stanley Holloway (dialoghi)
Otello Felici: Stanley Holloway (canto)
Giorgio Capecchi: Wilfrid Hyde-White
Wanda Tettoni: Gladys Cooper
Gianni Marzocchi: Jeremy Brett
Sergio Graziani: Theodore Bikel
Lydia Simoneschi: Mona Washbourne
Franca Dominici: Isobel Elsom

Dhia Cristiani: Bina Rothschild

Denny B.


lunedì 19 maggio 2014

La febbre del sabato sera

La febbre del sabato sera

★★★ ½
Fonte foto: www.movieplayer.it
New York. Anni '70. Tony Manero (John Travolta) è un giovane di origine italiane di diciannove anni che vive a Brooklyn, lavora in un negozio di vernici e frequenta un gruppo di amici con cui esce il sabato sera. La loro meta serale preferita è il locale 2001 Odissey dove Tony è considerato il re della pista grazie al suo grande talento legato appunto al ballo. I suoi coetanei lo rispettano, le donne gli cadono ai piedi, ma lui non se le porta a letto come farebbe chiunque. Una sera vede ballare una ragazza - Stephanie Mangano (Karen Lynn Gorney) - che conoscerà nella scuola di ballo che frequenta e a cui chiederà di partecipare assieme a lui a una competizione di ballo che mette in palio ben cinquecento dollari. Nonostante la differenza d'età e di carattere i due giovani sembrano andare d'accordo fino all'imminente gara di ballo.



La febbre del sabato sera era il film preferito del critico cinematografico Gene Siskel, il collega e amico storico del Sommo Roger Ebert il quale ha scritto una commovente e sentita seconda recensione del film in occasione dell'inserimento ufficiale nella lista dei suoi "Great Movies". Gene vide il film ben 17 volte e arrivò addirittura ad aggiudicarsi a un'asta il vestito indossato dal protagonista nell'ultima scena di ballo sulle note di More Than a Woman dei Bee Gees. Anche io, come Ebert, mi sono domandato dopo aver letto il suo pezzo che cosa mai rappresentasse per Gene il film diretto da John Badham e oltre a sconclusionate e azzardate affermazioni non ne sono venuto a capo e per rispetto alla sua memoria neanche ho intenzione di scriverle, tranne una: forse il film rappresentava per lui un sogno giovanile mai realizzatosi. Entrare in una discoteca con la folla che si separa al suo passare come "le acque del Mar Rosso" e ballare al centro della pista raccogliendo applausi per quello che si ama fare.



Tony Manero è un giovane commesso in un negozio di vernici che non può pensare al futuro quando il presente è oggi e vuol dire ricevere lo stipendio di venerdì invece di lunedì perché sabato sera deve andare a ballare al 2001 Odissey e ha persino noleggiato una camicia per l'occasione. La sua casa è una prigione soffocante: la madre non ha che occhi per suo fratello Frank e ogni volta che lo nomina si fa il segno della croce perché stiamo pur sempre parlando di un sacerdote (la sua foto è ben messa sulla mensola); il padre è da circa quattro mesi che non riesce a trovare lavoro e la nonna a tavola mette a tacere i battibecchi ricordando che c'è del buon cibo in tavola. Tony si pavoneggia davanti allo specchio della sua stanza tappezzata di poster di Rocky e di Al Pacino (foto tratta da Serpico), si brillantina i capelli, si prova la camicia nuova e muove i fianchi e il bacino facendo il suo riscaldamento. 



In un primo momento pensavo che Tony fosse omosessuale, bizzarro perché camminando per strada rischia il torcicollo per le volte in cui si gira per ammirare un bel lato b. Suo padre ha timore che lui sia omosessuale (che nessuno faccia il moralista, parliamo pur sempre di una famiglia d'immigrati italiani cristiani e credenti nei valori quali la famiglia e il matrimonio) salvo tranquillizzarsi quando nota dietro la porta della sua stanza il poster di quella che sembra una delle Charlie's Angeles. Tony potrebbe avere tutte le ragazze che vuole, ma lui non va in discoteca per rimorchiare, bensì per ballare e in questo non lo batte nessuno. Le scene sulla pista da ballo sono tutt'oggi irresistibili. Dalla prima volta in cui mette piede sulla pista ballando in coppia con la dolce Annette al ballo singolo su Should be Dancing che tanto mi fa desiderare di replicare la scena almeno una volta prima di avere le articolazioni pericolanti.



Ma il ballo è solo una piccola parte del film, è solo un pretesto per parlare d'altri argomenti quali l'amore, le scelte di vita, la lotta tra gang, e soprattutto la meritocrazia. Tony e Stephanie partecipano alla gara di ballo indetta dal locale portando un coreografia per nulla arrogante, che non morde la pista con passi veloci e scattanti, ma soffice che non fa nulla per piacere o strizzare al pubblico, ed è insolita la tristezza di Tony nel ballare. I due vincono il primo premio a discapito di una coppia di portoricani molto più meritevoli tanto che Tony da il premio a loro congratulandosi e dicendo "Perché io so che ve li siete meritati". Tony risulta stufo dei suoi amici che non sinceri neanche con lui e piantano grane con tutti inutilmente, stufo di non aver conferme da parte di Stephanie con cui tenterà di avere un rapporto sessuale violento.



Il film non è perfetto e ne sarebbe uscito con una stoffa più intelligente se alcune scene fossero state tagliate: quella verso la fine sul ponte di Verrazzano è gestita malamente e accresce una superficialità in Tony Manero che non è che un danno per un personaggio dalla cocente voglia di riscatto e crescita personale; e poi Frank è un personaggio macchietta, non approfondito, che entra all'improvviso nella vita di Tony comunicandogli la sua scelta di abbandonare il sacerdozio, ha una conversazione riguardante l'aborto con uno degli amici di suo fratello, e poi se ne va come se ne è arrivato, lasciando il nulla sullo schermo. Il finale con Tony e Sthephanie davanti la finestra è una nota di speranza che dura il tempo di pensare a una possibile continuazione del film (sì, esiste un sequel, ma lo ignoro bellamente): dureranno quanto un refolo di vento. 


Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):


Titolo originale: Saturday Night Fever
Paese di produzione: Stati Uniti
Anno: 1977
Durata: 114 min
Genere: drammatico, musicale
Regia: John Badham
Sceneggiatura: Norman Wexler
Produttore: Robert Stigwood
Fotografia: Ralf D. Bode
Montaggio: David Rawlins
Musiche: David Shire
Tema musicale: Barry Gibb, Maurice Gibb, Robin Gibb
Scenografia: Charles Bailey
Costumi: Patrizia von Brandenstein
Trucco: Max Henriquez, Joe Tubens

Interpreti e personaggi:
John Travolta: Tony Manero
Karen Lynn Gorney: Stephanie Mangano
Barry Miller: Bobby C.
Joseph Cali: Joey
Paul Pape: Double J.
Donna Pescow: Annette
Bruce Ornstein: Gus
Julie Bovasso: Flo Manero, madre di Tony
Martin Shakar: Frank Manero Jr., fratello
Sam Coppola: Dan Fusco
Nina Hansen: nonna
Lisa Peluso: Linda Manero, sorella di Tony
Val Bisoglio: Frank Manero Sr., padre di Tony
Denny Dillon: Doreen
Bert Michaels: Pete
Robert Costanzo: cliente del negozio
Robert Weil: Becker
Shelly Batt: ragazza della discoteca
Fran Drescher: Connie
Donald Gantry: Jay Langhart
Murray Moston: venditore
William Andrews: detective
Ann Travolta: ragazza
Helen Travolta: signora al negozio
Ellen March: commessa del bar
Monti Rock III: DJ
Roy Cheverie: partner spaiato
Adrienne King: ballerina
Alberto Vazquez: membro di una gang portoricana

Doppiatori italiani:
Edizione originale
Flavio Bucci: Tony Manero
Ludovica Modugno: Stephanie Mangano
Claudio Sorrentino: Bobby C.
Laura Gianoli: Annette
Antonio Colonnello: Frank Manero Jr.

Ridoppiaggio (2002)
Claudio Sorrentino: Tony Manero
Alessandra Korompay: Stephanie Mangano
Corrado Conforti: Bobby C.
Luigi Ferraro: Joey
Francesco Pezzulli: Double J.
Francesca Guadagno: Annette
Simone Crisari: Gus
Maria Pia Di Meo: Flo Manero
Christian Iansante: Frank Manero Jr.
Vittorio Amandola: Dan Fusco
Saverio Indrio: Frank Manero Sr., padre di Tony
Stefano Mondini: DJ

Denny B.

venerdì 16 maggio 2014

Alabama Monroe - Una storia d'amore

Alabama Monroe

½

Elise Vandevelde (Veerle Baetans) e Didier Bontnick (Johan Heldenbergh) sono rispettivamente una tatuatrice e un suonatore di banjo in un gruppo bluegrass al quale lei si unirà come cantante quando sboccerà la loro storia d'amore passionale che darà vita a una splendida bambina, Maybelle, che sembra essere la degna conclusione di un cerchio di felicità. Ma dopo il sesto anno di compleanno la piccola Maybelle comincia a soffrire di problemi di salute morendo di tumore un anno dopo lasciando nella disperazione i due genitori il cui rapporto s'incrina inesorabilmente. 



Come spiegare la morte a una bambina in lacrime che tiene in mano un uccellino senza vita dopo essersi schiantato contro il vetro della terranda? Come dire che dopo aver sotterrato la propria creaturina, incredibile ma vero, si continua a sopravvivere senza risultare un cinico bastardo senza un briciolo di umanità? Come spiegare che Alabama Monroe di Felix Van Groeningen è un film talmente finto che non ha ingannato neanche lontanamente un piagnone come il sottoscritto? Come fare a dire che l'unica nota piacevole del film belga è la colonna sonora? Ma soprattutto: spiegatemi dove avete trovato la meraviglia in tale cumulo di luoghi comuni perché non riesco a venirne a capo se non con uno sbuffo e un girare la schiena accompagnato da un "Fate un po' quello che volete".



Partiamo dai due protagonisti: Elise (sembra Emma Marrone messa in lavatrice e stesa ad asciugare) gestisce un negozio di tatuaggi e neanche a dirlo ha il corpo bianco e lattiginoso coperto di tatuaggi ognuno simboleggiante un'emozione o un avvenimento importante della sua vita e canta pure bene infatti è quel membro che mancava al gruppo bluegrass di Didier (sembra Pierfrancesco Favino messo a stecchetto), il suo fidanzato e poi marito, presumibilmente un nullafacente, affascinato dal mito del sogno americano.



Nasce la bambina, Maybelle, vivace e curiosa, tutto sembra perfetto invece si ammala di tumore e muore e via con la sequela di attribuzione di colpe: è colpa delle lenzuola non pulite, è colpa di qualcosa che ha mangiato, è colpa del ramo genealogico di Didier, è colpa di Elise che fumava nei primi tre mesi di gravidanza, no è colpa di Didier che manco lo voleva un figlio e che mentre il parto era ubriaco fradicio (salvo essere assolutamente sobrio quando le acque si sono rotte); o forse è colpa del cinema che si è preso sempre più libertà di narrare il dolore umano in tutte le sue forme più crude.



Alabama Monroe, oltre a sfoggiare il dolore ci specula sopra tirando fuori dal suo misero inventario una mossa furbetta ovvero una narrazione saltellante da passato a presente e da presente a passato così da affiancare alle lacrime dei genitori il sorriso della bambina o le stelle luminose nel cielo buio. Per non parlare di Elise che si fa cambiare legalmente il nome in Alabama, come se il cambio di nome fosse una cura adeguata alla perdita di una figlia, ma anche questa è una mossa stucchevole che ha la presunzione di essere profonda, e neanche voglio soffermarmi sulla patetica scenetta soprannaturale che vede Elise/Alabama guardare il suo stesso corpo intubato e bisbigliare all'orecchio di Didier cosa? di lasciarla andare? Beh, sì.



Allora, di film crudi e spietati ce ne sono molti e pure capolavori, basti citare Million Dollar Baby e Mystic River di Clint Eastwood o il più recente Amour di Michael Haneke. Alabama Monroe è sì crudo, ma non ti permette mai di empatizzare veramente con i personaggi. E' come una vetrina del dolore. Come se volesse a tutti i costi tirar fuori dallo spettatore le sue preziose lacrime. Ti sbatte in pieno viso una storia tragica senza impegno, senza neanche un accorgimento estetico audace che provi si stia guardando del cinema (o che si abbia voluto fare del cinema). Il regista condisce la sua pellicola con situazioni che sanno ormai di muffa: l'uccello che sbatte contro il vetro e muore, i litigi dei due genitori che s'incolpano l'un l'altro o il tentativo di suicidio da parte di lei. Alabama Monroe di Felix Van Groeningenè un film mediocre e così stantio che io, critico cinefilo che si commuove per un nonnulla, non ho versato neanche mezza lacrima. La mia elevata sensibilità si è accorta di essere di fronte a un artefatto di luoghi comuni finalizzati solamente alla lacrima facile. Alabama Monroe potrà piacere molti, piace già a molti, e non li giudicherò affatto perché ognuno ha il proprio metro di sensibilità e va rispettato. A me non è piaciuto. E non mi piacerà mai. 




Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):


Titolo originale: The Broken Circle Breakdown
Paese di produzione: Belgio
Anno: 2012
Durata: 111 min
Generedrammatico
Regia: Felix Van Groeningen
Soggetto: Johan Heldenbergh e Mieke Dobbels
Sceneggiatura: Felix Van Groeningen e Carl Joos
Distribuzione (Italia): Satine Film
Fotografia: Ruben Impens
Montaggio: Nico Leunen
Musiche: Bjorn Eriksson
Scenografia: Kurt Rigolle

Interpreti e personaggi:
Johan Heldenbergh: Didier Bontnick/Monroe
Veerle Baetens: Elise Vandevelde/Alabama
Nell Cattrysse: Maybelle
Geert van Rampelberg: William
Nils de Caster: Jock
Robby Cleiren: Jimmy
Bert Huysentruyt: Jef
Jan Bijvoet: Koen
Blanka Heirman: Denise

Doppiatori italiani:
Alberto Angrisano: Didier Bontnick/Monroe
Valentina Carnelutti: Elise Vandevelde/Alabama
Arianna Vignoli: Maybelle

Denny B.


mercoledì 14 maggio 2014

Asylum100: RACCOLTA DI RACCONTI HORROR. E TRA GLI AUTORI CI SONO ANCHE IO



No, cari ragazzi, colleghi e amici, non è uno scherzo. 
Chi l'avrebbe mai detto che il fifone Denny B., che per quella schifezza di The Ring non ha dormito per una settimana, avesse scritto un racconto horror e che glielo pubblicassero in una raccolta di genere assieme ad altri 100 autori? Manco io, è la risposta. L'ho scritto per gioco, come divertissement, e invece è piaciuto allo staff di Scrittevolmente che ha indetto il concorso Asylum100 che dopo ben tre anni ha visto i suoi frutti: un ebook e presto una versione cartacea edita dalla ST-Books. 
Il mio invito è chiaro e semplice: rinunciare a due caffè e acquistare l'antologia (2,99 euro) e magari farne parola con chiunque, condividerla sui social network e magari scriverci una recensione sui vostri blog. Una piccola precisazione: io non ne ricavo nulla dalla vendita della suddetta, ma è giusto premiare il lavoro di tante persone che hanno lavorato per tre anni senza smettere di credere nel progetto e di esaminare racconti su racconti al fine di cogliere le perle che sarebbero andate a formare una regale collana quale è appunto quest'antologia.
Ecco il link diretto all'Ebookstore GDS: Asylum100.
Il mio racconto s'intitola: Continuerà a piovere.
Vi ringrazio e buona lettura

Pardon, questo è il link del trailer dell'antologia: Book Trailer.

Denny B.

lunedì 12 maggio 2014

Cantando sotto la pioggia (1952)

Cantando sotto la pioggia

★★★★

Don Lockwood (Gene Kelly) è un famoso attore del cinema muto, con un passato alle spalle da ballerino, musicista e stuntman, che ha un terribile feeling, dietro riflettori, con la bionda e stupida Lina Lamont (Jean Hagen) e che deve affrontare il passaggio dal muto al sonoro con vari dubbi sulle sue effettive capacità di recitazione. R. F. Simpson (Millard Mitchell), il produttore della Monumental Pictures, decide di trasformare Il cavaliere spadaccino, l'ultima pellicola della coppia Lockwood-Lamont, in un film parlato, ma l'anteprima è un fiasco a causa della terribile voce stridula di Lina. Ma l'amico di Don, Cosmo Brown (Donald O'Connor) ha la brillante idea di trasformare il film in un musical facendo doppiare Lina dalla giovane attrice e cantante Kathy Selden (Debbie Reynolds) di cui Don è innamorato. Questa volta sarà un successo?


Alzino la mano quei vergognosi che non hanno mai neanche lontanamente sentito parlare di questo musical o che non abbiamo mai visto la famosissima scena di Gene Kelly sotto la pioggia. Se la alzate la colpa non è manco da attribuire a voi, ma a uno strano meccanismo che ci fa credere di aver visto il film solo avendo effettivamente visto e stravisto una sola scena. C'entra poco, ma mi è successo lo stesso con Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: essendo citato a sproposito ogni tre per due e presente in quasi tutte le liste di libri da leggere almeno una volta nella vita mi ero convinto alla fine di averlo letto; cosa che ho fatto realmente tre mesi fa trovandolo bellissimo. Anche con Cantando sotto la pioggia sono stato vittima dello stesso meccanismo, ma ora posso affermare con sicurezza che è una delle cose più rinfrescanti che esistano. Toglietevi dalla testa tutti quei musical scadenti che ci propinano come classici e guardatevi invece un vero musical come questo fatto da mostri di bravura che riuscirebbero a far venire la voglia di ballare pure ai sassi sotto la calura estiva.



Il protagonista del film è Don Lockwood, una star del cinema che miete coi suoi sorrisi smaglianti migliaia di giovani donne in cerca di un suo autografo o di un pezzo della sua giacca, il cui motto è "Dignità", come risponde alla domanda dell'anziana giornalista (la classica sapiente di gossip tutta "Oh, cari" e "Come siete splendidi insieme") riguardante le sue origini che lui narra come corollari di successi uno dietro l'altro quando invece assieme al suo più caro amico Cosmo ha iniziato esibendosi nei locali ricevendo ovazioni fatte di "buuu". "Mi affidarono sempre più spesso parti delicate" dice con fierezza, convincendo tutti tranne noi spettatori che sappiamo la verità grazie all'inserimento di brevi flashback: infatti ha fatto lo stuntman per svariate pellicole d'azione. Poi arrivò il successo e i giornali di gossip gli affibiarono una love story con Lina Lamont che non viene smentita al fine di creare pubblicità massiccia e benefica ogni qualvolta esce un loro film. La prima volta che sentirete la voce di Lina capirete perché lei non parla mai in pubblico. Interpretata da una Jean Hagen che incarna perfettamente il ruolo dell'attrice bionda stupida come una gallina (ricordiamo che la Hagen aveva una bellissima voce, da noi doppiata da una strepitosa Zoe Incrocci).


Cantando sotto la pioggia diretto da Stanely Donen e dallo stesso Gene Kelly narra di quel momento storico in cui vi è stato il passaggio cinematografico dal muto al sonoro. Di primo acchito pareva un'invenzione diabolica, come quella del telefono. Poi però le case di produzione si accorsero che il pubblico voleva sempre di più film parlati e non ebbero altra scelta che adeguarsi a tempi e ai desideri della gente. E' interessante la carrellata che segue Cosmo e Don discutere di Kathy mentre sullo sfondo compaiono piccoli set in cui si girano delle scene dietro gli ordini perentori dei registi. Ed è invece spassoso vedere il regista con poca pazienza che tenta di far capire a Lina che deve dire le battute verso il microfono nascosto nel cespuglio, tanto che arriverà a metterlo sotto un addobbo posizionato sulla spalla dell'abito di scena. L'anteprima de Il cavaliere spadaccino è un fiasco: la pellicola non è in sincrono, il sonoro necessita di pesanti migliorie e la voce di Lina è qualcosa che fa sbellicare dalle risate il pubblico che se ne va dalla sala scontenta e decisa a non guardarlo mai più. Quindi, perché non fare de Il cavaliere spadaccino un film musicato?


Le canzoni e i balli disseminati in Cantando sotto la pioggia sono famosissimi, citati ovunque e irresistibili. Dopo la visione del film vi ritroverete come il sottoscritto a tentare di imitarne maldestramente i passi. Si va dalla romantica dichiarazione di Don a Kathy nel teatro di posa (scusate, ma il titolo della canzone mi è ignoto) alla fresca e gioiosa Good Mornin' passando per la scherzosa e buffa Musoses Supposes fino alla famosissima I'm Singing in the Rain che da il nome al film. La scena in cui Gene Kelly canta sotto la pioggia è una delle scene più belle della storia del cinema: girata in due giorni, Gene con la febbre a 39, usando il latte assieme all'acqua per rendere meglio l'effetto su pellicola si conclude in maniera magistrale e geniale con l'arrivo di un poliziotto che guarda Gene Kelly come se si trovasse davanti a uno a cui manca un venerdì e lui che gli canta l'ultimo verso della canzone prima di andarsene dando l'ombrello a un passante fradicio. La scena poteva finire con una dissolvenza o con uno sbraccio di mani e strizzata d'occhio alla camera invece anche qui si decide di non abbandonare l'ironia su cui è basato Cantando sotto la pioggia, uno dei musical più belli ed esilaranti di tutti i tempi.

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: Singin' in the Rain
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 1952
Durata: 103 min
Generemusical, commedia
Regia: Stanley Donen, Gene Kelly
Soggetto: Adolph Green, Betty Comden
Sceneggiatura: Adolph Green, Betty Comden
Produttore: Arthur Freed per MGM
Distribuzione (Italia): MGM (1953)
Fotografia: Harold Rosson
Montaggio: Adrienne Fazan
Effetti speciali: Warren Newcombe, Irving G. Ries
Musiche: Nacio Herb Brown, Roger Edens, Al Goodhart, Al Hoffman
Scenografia: Jacques Mapes, Edwin B. Willis, Harry McAfee

Interpreti e personaggi:
Gene Kelly: Don Lockwood
Donald O'Connor: Cosmo Brown
Debbie Reynolds: Kathy Selden
Jean Hagen: Lina Lamont
Millard Mitchell: R.F. Simpson
Cyd Charisse: ballerina
Douglas Fowley: Roscoe Dexter
Rita Moreno: Zelda Zanders
King Donovan: Rod
Richard Emory: Phil
Bobby Watson: maestro di dizione
Harry Tenbrook: tecnico del suono
Julius Tannen: uomo sullo schermo
Mae Clarke: parrucchiera

Doppiatori italiani:
Adolfo Geri: Don Lockwood
Paolo Ferrari: Cosmo Brown (parlato)
Elio Pandolfi: Cosmo Brown (canzone "Ma che fa / Make 'Em Laugh ")
Flaminia Jandolo: Kathy Selden
Zoe Incrocci: Lina Lamont
Gaetano Verna: R.F. Simpson
Corrado Mantoni: Rod
Enrico Maria Salerno: Phil
Olinto Cristina: maestro di dizione
Rolf Tasna: tecnico del suono

Edoardo Toniolo: uomo sullo schermo

Denny B.