mercoledì 31 luglio 2013

Mi danno 20 anni di meno

20 anni di meno

Fonte foto: www.migliorifilm.net
I francesi in fatto di cinema ci stanno facendo, se non il culo, almeno un bel paiolo così - è innegabile -  e mi dispiace perché a me i francesi mi stanno simpatici quanto gli inglesi, ma quando fanno dei prodotti che funzionano sono il primo ad ammetterlo e a lodarli. 


"Non male questo Scrivenny. Molto meglio di certi giornalacci
francesi."
Alice Lantins (Virginie Efra) è un avvenente quasi quarantenne redattrice di un importante giornale di moda che tornando da un viaggio in Brasile dimentica la sua chiavetta usb sull'aereo, che viene raccolta da Balthazar Apfel (Pierre Niney), un ventenne, studente di architettura, simpatico e svampito. Dopo che Alice si accorge di non aver con sé la chiavetta si mette in contatto con Balthazar, e accettando il consiglio di un suo amico, inizia una relazione con lui, svecchiando così la sua figura severa e compita, facendo così colpo sul suo capo, che potrebbe proporle un'agognata promozione sul lavoro. 

 "A sììì, prendimi con la forza e diamo spettacolo agli ormoni
di questi studenti sempre con la testa sui libri."
20 anni di meno è una gradevole commedia basata su una banalità - una donna negli anta che si mette con uno più giovane - con una massiccia spolverata di Il diavolo veste Prada, ma ben confezionata, che scivola in un finale non preciso e buttato lì, come se lo sceneggiatore si fosse preso una pausa e non avesse poi concluso il lavoro. Ma il tema più corposo è quello della Milfità. 


"Quello che senti non è la baguette, te lo posso assicurare."
Alice è una vera e propria Milf: donna, madre di famiglia, vicina ai quarantanni ancora sessualmente attraente. Quando va a trovare Balthazar all'Università di Architettura, vestita con un abito corto che le fascia il corpo, una giacchetta di pelle sulle spalle, e i capelli biondi sciolti, fa girare le teste a molti, noi spettatori non abbiamo rischiato di procurarci un bel torcicollo, grazie al regista, ovvio. Oppure quando balla, sempre col ventenne turullo, sfoggiando un abitino bordeaux corto e con una scollatura da stupro. Insomma, un film che fa bene agli ormoni, se non si era già capito.




Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: 20 ans d'écart
Paese di produzione: Francia
Anno: 2013
Durata: 92 min
Genere: commedia
Regia: David Moreau
Sceneggiatura: Amro Hamzawi, David Moreau

Interpreti e personaggi:
Virginie Efira: Alice Lantins
Pierre Niney: Balthazar Apfel
Charles Berling: Luc Apfel
Gilles Cohen: Vincent Khan
Amélie Glenn: Lise Duchêne
Camille Japy: Elisabeth Lantins
Michaël Abiteboul: Simon
Camille Pélicier: Pauline
Jenna Azoulay: Zoé
Louis-Do de Lencquesaing: Julien

Camille Chalons: Fanny

Denny B.


martedì 30 luglio 2013

Questi sono i 40(4 gatti in fila per 6...)

Questi sono i 40

Fonte foto: www.mymovies.it
I 40 anni per una donna sono la morte fattasi numero. A 40 anni non si ha più 39 anni e una cifra tonda fa una caga assurda, come se dovessero d'ora in poi o preparare la camera ardente o vivere come non hanno mai vissuto. Ma molto probabilmente mi sbaglierò su tutto ciò perché delle donne non ci capisco un accidente e chi ha voglia di capirle? bisogna solo amarle, come diceva Oscar Wilde. Mi basterebbe lei, comunque.


Pete (Paul Rudd) e Debbie (Leslie Mann) dopo due anni dal loro matrimonio hanno due figlie, Charlotte di otto anni e Sadie di tredici, cominciano ad avere i problemi che di solito colpiscono le coppie che hanno circa 40 anni. Inoltre la casa discografica di Pete non va come aveva sperato, una delle due commesse del negozio di abbigliamento di Debbie ha rubato circa dodicimila dollari e una sorpresa è in arrivo per i due genitori alle prese con i loro 40 anni.


Miglior scena horror dell'anno.
Il film è uno spin-off di Molto incinta dello stesso regista Judd Apatow, che mio Dio non ho visto, credo che per questo andrò a buttarmi nella Stura che scorre lieve vicino casa mia, ché perdersi una commedia americana è un delitto contro i propri neuroni allenati ad apprezzare solo cose belle e degne di essere vissute da un occhio collegato a una mente e un cuore sull'attenti. 


Le commedie americane degli ultimi anni hanno sdoganato il sesso, in tutte le sue forme: da solo, in coppia, con un/a terzo/a, con una bambola gonfiabile, con un'intera squadra di rugby, ma Questi sono i 40 ha dalla sua che riflette su vari aspetti della vita di coppia di due quarantenni: i problemi con una figlia adolescente che non gioca più spensierata con la più piccola; i problemi al lavoro taciuti alla moglie per non farla preoccupare e per non mostrarsi dei falliti; il calo del desiderio sessuale da parte di lui che comincia a prendere il viagra; il timore di lei di non essere più abbastanza attraente; la gravidanza dopo i 40; i rapporti con i genitori, quello di lui simpatico ma che si fa mantenere dal figlio, e quello di lei che si è rifatto vivo dopo sette anni di silenzio. 


"Sono o non sono meglio di quelle di Platinette?"
Grande difetto è la durata: più di due ore. Poi se aggiungiamo pesanti spoiler di Lost che per uno come me che ha intenzione di cominciarlo il prossimo anno (sì, sono un ritardatario) fa girare le eliche dei bassifondi e non poco. Ah sì c'è anche Megan Fox che interpreta praticamente se stessa. Bella, sexy, troia, per carità, ma preferisco Leslie Mann, che in un frame le ho visto un seno splendido e una pelle liscia e brillante di una ventenne. Okay, ormone: smettila.  



Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: This Is 40
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 2012
Durata: 134 min
Generecommedia
Regia: Judd Apatow
Sceneggiatura: Judd Apatow
Produttore: Judd Apatow, Barry Mendel, Clayton Townsend
Casa di produzione: Apatow Productions, Forty Productions
Distribuzione (Italia): Universal Pictures
Fotografia: Phedon Papamichael
Montaggio: David L. Bertman, Jay Deuby, Brent White
Musiche: Jon Brion
Scenografia: Jefferson Sage
Costumi: Leesa Evans
Trucco: Amy Lederman, Viola Rock

Interpreti e personaggi:
Paul Rudd: Pete
Leslie Mann: Debbie
Jason Segel: Jason
Charlyne Yi: Jodi
Tim Bagley: Dr. Pellegrino
Melissa McCarthy: Catherine
Megan Fox: Desi
Albert Brooks: Larry
John Lithgow: Oliver
Ryan Lee: Joseph
Chris O'Dowd: Ronnie
Lena Dunham: Cat
Rob Smigel: Barry
Annie Mumolo: Barb

Doppiatori italiani:
Riccardo Rossi: Pete
Eleonora De Angelis: Debbie
Roberto Gammino: Jason
Rossella Acerbo: Desi
Carlo Valli: Larry
Dario Penne: Oliver

Massimo De Ambrosis: Barry

Denny B.









lunedì 29 luglio 2013

About Cherry: perché non fare la pornostar?

About Cherry

Fonte foto: www.impawards.com
Cherry (Ashley Hinshaw) è una diciottenne bionda e figa che vive con una madre alcolizzata, una sorella più piccola e un patrigno che non vedrebbe l'ora di stuprarla. Ha un amico, Andrew (Dev Patel), il quale non si capisce se sia eterosessuale, omosessuale, bisessuale, o asessuale, con il quale decide tutto d'un tratto di partire per San Francisco, dopo aver fatto delle foto nuda per un fotografo amico del suo becero ex ragazzo, senza avvisare casa. 



Arrivati in città, condividono un appartamento con un ragazzo che porta Andrew in locali gay dove lui si stupisce se gli uomini ci provano con lui, mentre Cherry si butta a capofitto nel mondo del porno soft, niente penetrazione o orge, solo fetish o scene lesbo, dove diventa in poco tempo una star e fa perdere la testa a Margaret (Heather Graham), una regista omosessuale. Di sera torna dal suo amico, carezzandolo o dicendogli quanto gli vuole bene, con cui condivide pure il letto, dove dormono abbracciati stretti stretti senza che lui si ecciti minimamente, niente, manco un'impennata in un giorno poco proficuo per la Borsa, cosa impossibile, impensabile a meno che non ti piacciano gli uomini. 


E tra una scena di porno soft e un'altra dove si fa scopare alla grande da un porno attore, Cherry s'innamora di Francis (James Franco), un avvocato tossicodipendente, il quale beve dal bicchiere in cui c'ha sputato la fighetta, e dulcisis in fundo lo lascerà, beccherà Andrew a masturbarsi davanti a un suo video dove esploderà in un discorso pieno di cazzate isteriche senza senso, passerà la notte con Margaret che l'accoglierà a braccia e gambe aperte, e in un ultima scena, dove lo spettatore deve immaginarsi un breve salto temporale, si vede Cherry che fa la regista. Chiuso. 


Ora: la trama è terribile, aggiungeteci una "regia" affetta da parkinson, o forse il regista con una mano filmava e con un'altra si masturbava, gente così imbarazzante nel recitare che i bambini dell'asilo alla recita di fine anno meriterebbero una nomination di gruppo ai prossimi Premi Oscar, e come se non bastasse - e nel dirlo mi sento male, perché sapete quanto ci tengo - un doppiaggio italiano scandaloso, ai limiti della fucilazione sulla pubblica piazza. In questo "film" non c'è nulla che si salvi, nulla, va gettato direttamente nel contenitore dell'umido. I personaggi sono inesistenti: Cherry passa da essere una timida ragazza di provincia a una star disinibita del porno in meno di tre giorni. Andrew non si sa cosa sia. Francis è un grande boh. Margaret è l'unica che è coerente con quello che vuole: scoparsi Cherry. Una sceneggiatura da rogo immediato.
About Cherry è un film orripilante, orribile, un vero e proprio horror, altro che soft porno. 


Fa talmente cagare questa prugna secca che non esiste nemmeno una scheda film.

Denny B.    




domenica 28 luglio 2013

Happy Birthday John Ashbery


Oggi non potevo starmene a sonnecchiare sul divano guardando qualche programma di Real Time, godermi così questa torrida domenica (da voi) e ignorare bellamente il compleanno dell'ultimo grande poeta in circolazione - che non ha mai vissuto il fatidico momento di calo artistico che colpisce il genio degli scrittori dopo dieci anni dal suo quotidiano e incessante impiego nell'arte - del mio poeta, il mio maestro, l'unica motivazione per cui prenderei un aereo per New York, fregandomene della lingua di cui capisco solo "the cat is on the table".
Tanti auguri John, quando dico "cento di questi giorni" spero vivamente che tu possa festeggiarli, e se sapessi che sono io l'highlander, cederei molto volentieri questo privilegio a te. 
Se vi interessa di John Ashbery ho scritto ampiamente QUI. Vi lascio con una sua poesia:

Paradossi e ossimori
Questa poesia si occupa del linguaggio a un livello alquanto piano.
Guardala che ti parla. Guardi da una finestra
o affetti irrequietezza. La sai ma non la sai.
Ti manca, la manchi, le manchi, ti manca. Vi mancate a vicenda.
La poesia è triste perché vuole essere tua, e non può.
Cos'è un livello piano? È quella cosa e altre,
e ne mette in gioco un sistema. Gioco?
Beh, di fatto, sí, ma io ritengo che il gioco sia
una piú profonda cosa esterna, un modello di ruolo sognato,
come nella ripartizione della grazia queste lunghe giornate agostane
senza dimostrazione. A finale aperto. E prima che te ne accorga
si perde nel vapore e nel cicaleccio della macchina da scrivere.
È stata giocata un’altra volta. Penso tu esista solo
per tormentarmi a farlo, al tuo livello, e poi tu non ci sei
o hai adottato un atteggiamento diverso. E la poesia
mi ha deposto dolcemente accanto a te. La poesia è te.
da A Worldly Country [Un paese mondano], 2007.

Happy Birthday John Ashbery.
Denny B.

venerdì 26 luglio 2013

KEVIN SPACEY DAY: AMERICANI

Americani


★★★★

"La nostra vita è guardare avanti o guardare 
indietro, nient'altro. Questa è la nostra vita. 
Dov'è il presente?" 
(Ricky Roma)

Oggi 26 luglio, dopo una messa ai voti estenuante, in cui c'era da votare tra Sylvester Stallone e Kevin Spacey, noi blogger di cinema più fighi e preparati e appassionati e in gamba della blogosfera festeggiamo chi ha avuto la meglio nello scontro, uno dei più grandi attori del cinema - e no non mi sto riferendo al mascellone, anche perché non è un attore - bensì al grande Kevin Spacey. Ognuno di noi ha poi scelto con quale film omaggiare l'attore e io ho subito messo le mani avanti: Americani is mine. Chiunque tocchi questo film diventa automaticamente nemico mio.


America. Chicago. Una piccola agenzia immobiliare sta attraversando un momento di crisi economica. In una sera piovosa un agente immobiliare di nome Blake (Alec Baldwin), mandato direttamente da Mitch & Murrey, i proprietari dell'agenzia, lancia una sfida a tutti i dipendenti: chi riuscirà a vendere di più in una notte vincerà il primo premio ovvero una Cadillac Eldorado; chi arriverà secondo vincerà sei coltelli da bistecca; tutti gli altri il licenziamento immediato. Shelley Levene (Jack Lemmon) è il più anziano dei venditori e quello con maggior esperienza, che non riesce a chiudere un contratto da diverso tempo, ha problemi economici, una figlia malata all'Ospedale, ed è disposto a tutto pur di vendere e di non esser licenziato.



Ricky Roma (Al Pacino) è il venditore più in gamba dell'agenzia, dotato di una furbizia, fascino e favella invidiabili riesce sempre a chiudere i contratti a tempo di record. Dave Moss (Ed Harris), incazzato, opportunista, che trama alle spalle di tutti servendosi dell'aiuto del nervoso e insicuro George Aaranow (Alan Arkin). E poi c'è il responsabile dell'ufficio, uno che sta dietro la scrivania, che non sa cosa voglia dire andare porta a porta a vendere terreni, che rispetta le regole,  John Williamson (Kevin Spacey), che non rischia nulla, ma che sarà poi l'ago della bilancia che penderà disastrosamente verso il fallimento di una notte, in cui tutta questa variegata fauna tirerà fuori tutta la spietatezza di cui l'essere umano è capace per sopravvivere nel mondo del lavoro.



Americani, tradotto così schifosamente in Italia, come al solito, il cui titolo originale è invece Glengarry Glen Ross, tratto dall'omonima piéce teatrale di David Mametè un capolavoro indiscusso, uno dei cento film più importanti del mondo, un film da antologia per quanto riguarda il doppiaggio italiano (le voci sono quelle di Giuseppe Rinaldi, Giancarlo Giannini, Carlo Valli, Roberto Pedicini, Saverio Moriones, Angelo Nicotra e Franco Zucca) che qui si supera, raggiunge vette inarrivabili e pianta una bandiera tricolore su un'altra bandiera tricolore (perché nel doppiaggio non ci batte nessuno), un film che ho visto minimo sei volte, che amo alla follia, un film assolutamente perfetto.



La scenografia è ridotta all'osso, abbiamo pochissimi interni tra cui l'ufficio che si è portati a ricordare per tutta la vita, claustrofobico, la cella moderna, e un esterno ricorrente - la strada che separa l'agenzia con il ristorante in cui i dipendenti vanno a mangiare - dove i personaggi si muovono liberi, ma pur sempre intrappolati dalla situazione assurda che da il via alla pellicola, seguiti dall'attenta e umorista regia di James Foley. La sceneggiatura di David Mamet è meravigliosa, i dialoghi tra i personaggi sono qualcosa di unico e irripetibile (quello tra Ricky Roma e James Lingk, un possibile cliente, dove aleggia una latente omosessualità; quello tra Moss e Aaranow, dove l'uno parla con l'altro, ma sembra che stiano parlando da soli) e poi loro, gli attori: Jack Lemmon è straordinario, Ed Harris e Alan Arkin hanno un feeling criminale, Alec Baldwin nel suo piccolo ruolo è statuario e ci si sente piccoli, non si fiata (Io ho fatto 970mila dollari l'anno scorso. Tu quanto hai fatto? Vedi amico, ecco chi sono io. E tu non sei niente. Sei una brava persona? Non me ne frega un cazzo. Un bravo padre? Vaffanculo a casa tua a giocare coi ragazzini!).



Il mio Al Pacino nel '93 ha ricevuto, per il ruolo di Ricky Roma, la nomination agli Oscar come miglior attore non protagonista (l'ha vinto come miglior attore protagonista per Scent of a woman: profumo di donna), ma il premio è andato a Gene Hackman per Gli Spietati, purtroppo, perché ripeto in quegli anni in particolare (1992-1993) Al Pacino era l'attore più grande del mondo, e se vedrete Americani ve ne accorgerete. E poi, dulcisis in cinema, abbiamo il festeggiato: Kevin Spacey. In un ruolo più sottotono, ma con due occhiate incenerisce ogni discussione sul nascere, verso il finale, e quando guarda Levene masticando una gomma è fantastico, un momento in cui il potere di un uomo su un altro si fa beffardo e spietato, come questo film, come il cinema, come la vita. 
Buon Kevin Spacey Day a tutti. 




Ecco gli altri blog, oltre al mio, che partecipano al Kevin Spacey Day:

White Russian Cinema 
Cooking Movies
Bollalmanacco di Cinema
Director's cult
Pensieri Cannibali
Cinquecentofilminsieme
In central perk 50/50 Thriller
Montecristo
Ho voglia di cinema
Combinazione Casuale
Viaggiando (meno)
Triccotraccofobia


Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):


Titolo originale: Glengarry Glen Ross
Paese di produzione: Stati Uniti
Anno: 1992
Durata: 100 min
Generedrammatico
Regia: James Foley
Soggetto: David Mamet (dramma teatrale Glengarry Glen Ross)
Sceneggiatura: David Mamet
Fotografia: Juan Ruiz Anchia Shore
Montaggio: Howard E. Smith Shore
Musiche: James Newton Howard
Scenografia: Jane Musky Kohout

Interpreti e personaggi:
Jack Lemmon: Shelley Levene
Al Pacino: Ricky Roma
Kevin Spacey: John Williamson
Ed Harris: Dave Moss
Alan Arkin: George Aaronow
Alec Baldwin: Blake
Jonathan Pryce: James Lingk
Bruce Altman: Signor Spannel
Jude Ciccolella: Detective

Doppiatori italiani:
Giuseppe Rinaldi: Shelley Levene
Giancarlo Giannini: Ricky Roma
Roberto Pedicini: John Williamson
Carlo Valli: Dave Moss
Angelo Nicotra: George Aaronow
Saverio Moriones: Blake
Franco Zucca: James Lingk

Denny B.

giovedì 25 luglio 2013

Cena tra amici: il bambino lo chiameremo Denny B.

Cena tra amici

★★★½

Pierre: "Qui abbiamo due bottiglie di vino… 
quale iniziamo per prima?"
Vincent: "Dipende…"

Pierre: "Da cosa?" 

Vincent: "Se lo dobbiamo bere o 
dobbiamo sciacquarci le mani!"


E' ufficiale: i francesi ormai sono molto più bravi di noi a fare film. Ciò mi fa male, sapete la mia non simpatia per i nostri vicini, ma è la verità. Nel 2012 uno dei film drammatici più notevoli era Nella casa, francese, invece la commedia più divertente e più originale era Cena tra amici, francese. Facciamoci una domanda e diamoci una mossa.



Vincent (Patrick Bruel) è un quarantenne agente immobiliare di successo che si reca a cena da sua sorella Elizabeth (Valérie Benguigui) e suo cognato Pierre (Charles Berling), entrambi professori e genitori due figli: Apollin e Myrtille. Li raggiunge Claude (Guillaume de Tonquedec), loro amico d'infanzia e trombonista in un'orchestra sinfonica. Mentre aspettano l'arrivo di Anna (Judith El Zein), la moglie di Vincent, quest'ultimo fa un annuncio importante: presto avranno un bambino. E il nome che gli daranno sarà: Adolphe.


"No ma vi rendete conto che l'ha ammesso?"
Chi ha il compito di tradurre i titoli dei film forse non è a conoscenza che in francese Le Prènome vuol dire Il Nome: e allora, tu, sì, proprio tu che devi distribuire il film nelle sale cinematografiche italiane perché me lo traduci con Cena tra amici che non c'entra un beneamato Camambert di niente? Non solo le prènome è l'argomento che da il via alla cena, ma se notate nei titoli di testa i cognomi di coloro che hanno partecipato alla realizzazione del film sono omessi: questo è un tocco raffinato, ma tu cosa vuoi saperne.


La tipica reazione all'ennesimo rimprovero sulla traduzione
dei titoli dei film.
Cena tra amici è una commedia intelligentissima, il meccanismo della serata - i rancori, le verità scomode che fuoriescono da ogni personaggio, sibilanti e affilati - è perfetto, poi è raffinata (i ragionamenti successivi a uno sfogo non sono mai campati in aria), colta (riferimenti alla letteratura, alla storia), e recitata benissimo (uno su tutti Patrick Bruel), ma sopra ogni cosa è divertentissima. Non mi capitava da mesi e mesi di ridere a crepapelle, di dovermi tenere la pancia col rischio di correre in bagno e usufruire della bianca porcellana, ancora scosso dalle risate. Io mi pongo la stessa domanda che si è posta la mia collega, nonché amica (le voglio troppo bene per considerarla solo una collega preparata) Valentina Orsini: come mai non ci è venuta a noi un'idea simile? 


"Tra l'essere e il non essere io scelgo di mandarti a quel pays."
Ricordiamoci che i francesi sono gli stessi che hanno fatto Giù al Nord, un film basato sulla discrepanza tra Nord e Sud. Nord e Sud? in Francia? Quando ancora oggi qui in Italia quelli del Nord vengono visti in un modo da quelli del Sud, e quelli del Nord in un altro da quelli del Sud? Assurdo. Ci siamo svegliati un anno dopo decidendo di fare quella porcata di Benvenuti al sud, un remake di un originale, cosa per cui i francesi ci rideranno dietro per anni. Ma non poteva venire a noi un'idea simile a quella di Cena tra amici? Immaginatevi in una famiglia milanese della medio borghesia una coppia che decidesse di chiamare suo figlio Benito. Questa sarebbe l'idea più "originale", ma conoscendo i nostri sceneggiatori sceglierebbero come nome Gennaro o Ciro, così tanto per marcare ancora di più il razzismo stupido e inutile che intercorre tra Nord e Sud. E poi non credo che sarebbero riusciti a creare un'opera così intelligente, scritta a quattro mani da Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte il cui film in questione è un adattamento cinematografico a un loro lavoro teatrale. 


"E così Sylvia Plath sarebbe una poetessa?
Mon chère, tu es un cojon!"
I personaggi del film sono tutti perfettamente caratterizzati, possiamo persino riconoscerci in uno di essi: c'è Vincent, l'uomo di successo, quello con il SUV, di destra, non borioso e saccente, ma simpatico, burlone, e con la battuta sempre a portata di bocca, che lancia frecciate contraccambiate prontamente da Pierre, colto, che indossa velluto a coste tutto l'anno, che non trova mai le cose quando le cerca, ma che sta troppo poco coi figli (il maschio che va periodicamente da uno psicologo infantile, e la femmina, deliziosa ninfetta di dodici anni che legge Madame Bovary), come gli dice sua moglie Elizabeth, per gli amici Babou, maestra che crede fermamente nell'insegnamento, che si perde ogni volta la parte saliente della conversazione perché vuole che in tavola sia servito un pranzo coi fiocchi, e che si confida sempre con il suo migliore amico, fin dall'infanzia, Claude, forse un po' effeminato, però calmo, paziente con tutti, sembra che nulla possa smuoverlo dalla sua accesa posizione neutrale. Io credo di essere un misto tra Vincent e Pierre: burlone, simpatico, riflessivo, che pesa le parole, sufficientemente colto, ma non sono un uomo di successo come Vincent, e se avessi due figli passerei più tempo possibile con loro, sicuro. 



Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):


Titolo originale: Le Prènom
Paese di produzione: Francia, Belgio
Anno: 2012
Durata: 109 min
Genere: commedia
Regia: Alexandre de La Patellière, Matthieu Delaporte
Soggetto: Matthieu Delaporte
Sceneggiatura: Matthieu Delaporte
Produttore: Dimitri Rassam, Jérôme Seydoux
Casa di produzione: M6 Films, TF1 Films Production, Nexus Factory, Chapter 2 et Pathé
Distribuzione (Italia): Eagle Pictures
Montaggio: Célia Lafitedupont
Musiche: Jérôme Rebotier
Costumi: Anne Schotte

Interpreti e personaggi:
Patrick Bruel: Vincent
Valérie Benguigui: Élisabeth
Charles Berling: Pierre
Guillaume de Tonquedec: Claude
Judith El Zein: Anna
Françoise Fabian: Françoise
Yaniss Lespert: Fattorino pizza da asporto
Miren Pradier: Infermiera
Alexis Leprise: Apollin
Juliette Levant: Myrtille
Bernard Murat: L'ostetrico

Denny B.










mercoledì 24 luglio 2013

Il cinefilo consiglia Shakespeare a colazione

Shakespeare a colazione 

★★★½

Non sapevo dell'esistenza di Shakespeare a colazione (Withnail and I), considerato un cult in Gran Bretagna, fino a quando l'informata Babol non ne ha scritto sul suo blog, così, con il timore di non trovarlo su internet, poi scongiurato, l'ho visto e ne sono rimasto piacevolmente colpito, un film intelligente che nell'ultima parte in particolare non si può restare indifferente di fronte alla bravura dell'attore e del suo doppiatore.


In una Londra alla fine del 1969 Withnail (Richard E. Grant) e "I" (Paul McGann), la voce narrante del film, il cui nome è Marwood, due attori disoccupati, condividono un appartamento nel quartiere di Camden Town. Withanil e Marwood sono molto amici pur essendo tra loro molto diversi: il primo è folle, opportunista, uno sciacallo assetato di gloria, che non fa altro che bere e bere, e trascinare con sé nelle sue avventure il secondo, invece molto timido, insicuro e ansioso. I due, un giorno, disperati e senza l'ombra di un penny, chiedono allo zio di Withnail, Monty (Richard Griffiths), il permesso di utilizzare la sua casa di campagna, per trascorrere una tranquilla e breve vacanza. Lo zio, omosessuale ed ex attore, si invaghisce di Marwood, accetta la loro richiesta, i due partono, raggiungono la casa, che si rivela essere una vecchia casa che cade quasi a pezzi, litigano con un bracconiere, litigano tra di loro e ricevono, una notte, una visita inattesa.


Shakespeare a colazione è un film improvvisato. Una trama ben delineata, precisa, scritta a tavolino, non c'è. Io l'ho scritta, la trama, ma se si guarda il film senza esserne a conoscenza, abbiamo il sentore che il tutto sia improvvisato, che gli attori seguano un loro canovaccio, perché sono le loro stesse vite a essere improvvisate: - "Hai avuto notizie dal tuo agente?" - "No." - "Dai, usciamo a bere qualcosa". Decidono tutto d'un tratto, quando si ritrovano senza soldi, di prendersi una vacanza che possa rasserenare i loro animi tormentati dal fatto di non avere avuto ancora una parte da protagonisti in un film. 


Lo zio Monty - il personaggio, assieme a Withnail, più bello del film - sembra essere loro due nel futuro, quando le pance cominceranno a crescere, i capelli a ingrigire, e i ricordi resteranno l'unico gingillo a disposizione nelle fredde e solitarie sere. Un uomo gentile, colto, malinconico, solo e bisognoso come tutti noi di tenerezza e di carne viva sotto le dita, e nell'interpretarlo è stato il bravissimo Richard Griffiths, uno dei più grandi attori teatrali britannici, scomparso lo scorso 28 marzo. Si dice che il personaggio di Monty sia stato creato in base all'esperienza di Bruce Robinson (regista e sceneggiatore del film), vissuta dopo aver ottenuto la parte di Benvolio in Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli, il quale gli avrebbe fatto delle avances sessuali. 


Bravo Paul McGann, ma l'attore che primeggia su tutti è Richard E. Grant, completamente astemio nella vita, qui ha dovuto interpretare un ubriacone, esperienza non proprio piacevole, confessò. Come farò d'ora in poi a dimenticare il suo disperato monologo finale tratto dall'Amleto di Shakespeare, con la splendida voce di Roberto Pedicini, una delle voci a cui sono più legato sentimentalmente, che rende il momento solenne, drammatico, e commovente.
Shakespeare a colazione non può che farvi bene. Parola di cinefilo.

Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: Withnail and I
Paese di produzione: Regno Unito
Anno: 1987
Durata: 108 min
Generecommedia
Regia: Bruce Robinson
Sceneggiatura: Bruce Robinson
Produttore: George Harrison, Denis O'Brien, Paul Heller
Musiche: David Dundas, Rick Wentworth

Interpreti e personaggi:
Paul McGann: Marwood
Richard E. Grant: Withnail
Richard Griffiths: Monty
Ralph Brown: Danny

Denny B.





martedì 23 luglio 2013

World War A B C D... Z

World War Z

½

"La natura è il miglior serial killer vivente." 
(Dottore)

"Tu prova a toccare uno dei miei libri poi vedi
di che cosa sono capace, altro che la natura."
(Denny B.)

Zombie. La causa di un eventuale scompiglio mondiale non può che essere un esercito scomposto e gracidante di esseri non-morti che si lanciano nel vuoto, sotto i treni, che si appigliano agli elicotteri, ovunque pur di mordere qualcuno, ché un morso fa sempre vampiro e ai ciovani piace tutto questo, poi se il loro salvatore è quell'uomo invecchiato proprio bene che risponde al nome di Brad Pitt lovvano il film a prescindere. Quindi questa recensione la scrivo principalmente per tenermi le dita in esercizio. 


"BRAAAAAD FACCI L'AUTOGRAFOOOO!!"
Gerry Lane (Brad Pitt) è un ex funzionario delle Nazioni Unite che ora dedica il tempo alla sua amorevole famiglia, quando una terribile infezione virale colpisce moltissimi essere umani a Philadelphia, e poi in tutto il globo, trasformandoli in zombie. L'origine del virus è sconosciuta e il governo degli Stati Uniti offre riparo alla famiglia di Gerry a patto che quest'ultimo aiuti nella ricerca di un rimedio alla catastrofica infezione.
World War Z è la classica americanata spaccona di cui non ne sentivamo la necessità, farcita di luoghi comuni, cliché surriscaldati e varie cagatine di mosca qua e là, ma pur essendo un film che dopo averlo visto te ne dimentichi subito dopo, di stroncarlo senza speranza non me la sento, poteva essere interessante se la trama non fosse stata così banale, ma il problema in questo caso non è del regista o dello sceneggiatore, ma di Max Brooks, lo scrittore di World War Z. La guerra mondiale degli zombi, romanzo da cui è stato tratto questo film.


"Tranquille ragazze. Sopravviveremo anche a questa recensione
apocalittica."
Di storie di zombie ne sono piene le librerie, di film c'è né un'infinita, e la trama di World War Z ricorda molto Resident Evil, saga di videogiochi da cui sono stati tratti alcuni film, dove gli abitanti di una città vengono trasformati in zombie a causa di un virus, umm mi ricorda qualcosa, e a voi?
La sceneggiatura è piatta e i personaggi sono privi di psicologia, piatti e sciapi, interpretati da attori altrettanto piatti: Brad Pitt ha mantenuto il profilo basso, non si è ammazzato di lavoro - ma quando mai l'ha fatto? io me lo ricordo sempre molto volentieri solo nel capolavoro di Malick -, e tra gli altri c'era anche l'italiano Pierfrancesco Favino che invece di mantenere alta la nostra bandiera ha pensato di pulircisi il didietro, mantenendo la stessa espressione per quei venti minuti per cui l'hanno pagato (?).



Ma coloro che hanno recitato come degli zombie, forse perché lo erano?, sono proprio gli zombie creati apposta per il film, che fanno dei versi da Godzilla con la raucedine e che quando sono dormienti sembrano dei galli cedroni allo stato brado, in un certo punto, quando Brad e la sua famiglia correvano con i bengala accesi, mi sembrava di essere in Silent Hill: Shattered Memories, e in un solo punto ho urlato un vaffanculo di sorpresa che mi avranno sentito in Alaska, gli altri li riservo per i film del menga futuri e per i rompicoglioni che popolano le strade della vita "reale".



Qui di seguito la scheda film (fonte Wikipedia):

Titolo originale: World War Z
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d'America, Malta
Anno: 2013
Durata: 116 min
Genereazione, fantascienza, thriller, drammatico, horror
Regia: Marc Forster
Soggetto: Max Brooks (romanzo World War Z. La guerra mondiale degli zombi)
Sceneggiatura: Damon Lindelof, Matthew Michael Carnahan, Drew Goddard
Produttore: Brad Pitt, Ian Bryce, Dede Gardner, Jeremy Kleiner
Produttore esecutivo: David Ellison, Dana Goldberg, Tim Headington, Graham King, Paul Schwake, Bradford Simpson
Casa di produzione: Plan B Entertainment, Paramount Pictures, Apparatus Productions, GK Films, Hemisphere Media Capital, Latina Pictures, Skydance Productions
Distribuzione (Italia): Universal Pictures
Fotografia: Robert Richardson
Montaggio: Roger Barton, Matt Chesse
Effetti speciali: Luke Marcel, Ken Petrie, László Pintér, Tibor Skornyak, Alastair Vardy
Musiche: Marco Beltrami
Scenografia: Nigel Phelps
Costumi: Mayes C. Rubeo
Trucco: Krisztina Fehér, Carmel Jackson, Gemma Richards, Luigi Rocchetti, Sian Turner

Interpreti e personaggi:
Brad Pitt: Gerry Lane
Mireille Enos: Karen Lane
Daniella Kertesz: Segen
James Badge Dale: Capitano Speke
David Morse: Gunther Haffner
Fana Mokoena: Thierry Umutoni
David Andrews: Capitano Mullenaro
Sterling Jerins: Constance Lane
Abigail Hargrove: Rachel Lane
Peter Capaldi: dottore OMS
Pierfrancesco Favino: dottore OMS
Ruth Negga: dottore OMS
Moritz Bleibtreu: dottore OMS
Ludi Boeken: Jurgen Warmbrunn
Grégory Fitoussi: pilota del C130

Doppiatori italiani:
Sandro Acerbo: Gerry Lane
Monica Ward: Karen Lane
Domitilla D'Amico: Segen
Roberto Draghetti: Thierry Umutoni
Massimo Rossi: Gunther Haffner
Paolo Marchese: Jurgen Warmbrunn
Fabrizio Dolce: Ellis
Silvia Abbati: Rachel Lane
Metello Mori: Pilota C-130 

Denny B.