giovedì 3 gennaio 2013

John Ashbery

L’ultimo grande poeta

 


 
John Ashbery è il più grande poeta vivente ed è il più grande poeta americano da oltre un secolo.
Ha esordito nel 1956 con la sua prima raccolta di poesie intitolata Some Trees(Certi alberi); la poesia che dà il titolo alla raccolta vale la pena riportarla:

 

Questi sono stupefacenti: accosto
ciascuno al vicino, come se il discorso
fosse una messa in scena silente.
Dandoci stamane casualmente

appuntamento così tanto via
dal mondo quanto in armonia
con esso, io e te
siamo d’improvviso ciò che

gli alberi cercano di dirci
che siamo: che il loro mero esserci
ha significato; che potremo toccare
presto, e amare e spiegare.

E lieti di non avere inventato
noi tale grazia, ne siamo circondati:
un silenzio già colmo di rumori,
una tela su cui affiori

un coro di sorrisi, d’inverno, un mattino.
Posti in una luce sconcertante, e in cammino,
i nostri giorni indossano una tale reticenza
che questi accenti paiono la loro stessa resistenza.

 

Ashbery dà una ventata d’aria nuova alla poesia. Le sue non sono poesie confessionali, sono poesie che non sono “su” nulla, ma esse sono la loro stessa creazione; non racchiudono una precisa porzione del mondo che interessa in quel momento al poeta ma inglobano il mondo intero.  La sua poesia è paragonabile al mare e i suoi versi ti trasportano come delle onde su  un’isola che non conosci dove passeresti molto tempo come un novello Robinson Crusoe.
Ashbery è un poeta poderoso, influenzato anche lui da Whitman ed esiste un Ashbery primario che canta i suoi canti di me stesso e compila le sue foglie d’erba. È di un poderoso diverso da Hart Crane, poeta meraviglioso, che ha scritto poesie che mangiano letteralmente gli occhi di chi le legge, e quando si termina la lettura, le mani vanno istintivamente agli occhi per sincerarsi che siano ancora al loro posto, ma resta il fatto che Ashbery è un poeta poderoso perché con lui la poesia è un viaggio apparentemente semplice che ti offre un paesaggio inspiegabile, dove le foto per il tuo album della memoria sono ammesse.
Gli indizi per trovare il Whitman-in-Ashbery sono in alcune parti della poesia Finnish Rhapsody e del lungo poema Schema di flusso:

 

Colui che corre poco, colui che avanza saltellando a malapena
                             sa quanto sia breve la giornata, quanto siano poche le ore di luce.
                           Gli svaghi non riescono a distrarlo, le preoccupazioni lo allontanano
                                                                    energicamente
                                     dal mucchio di cose, dal cumulo di questo e di quello:
                               sogni tiepidi e perlopiù senza valore; fantasie fiacche, la maggior
                                                       parte delle quali infruttuose.
                            Eppure è da queste che la luce, da quello presenti qui che la luminosità
                                             setaccia e frantuma, diminuisce e va in pezzi.
                                  E sarà strano solo per metà, sarà veramente solo semi-bizzarro
                                  quando le alte poesie del mondo, le torreggianti affermazioni
                                                                     poetiche terrene
                            invaderanno le strade del nostro dialetto, penetreranno il viale del nostro
                                                                             gergo,
                              recando fresco vigore e nuova conoscenza, trasportando forza vergine
                                                            e illuminazione aggiornata
                            in questo luogo di sete onesta, in questo qui e ora soddisfacentemente
                                                                            riarso,
                                 poiché tutte le cose si raccolgono, perché ogni cosa si assembla
                                                           davanti a lui, dinanzi a colui
                             che deve solo restare seduto e allacciarsi la scarpa, che dovrebbe restare
                                       seduto, annodando la funicella con punta di metallo
                                     affinché ciò accada esattamente, per permettere che ciò abbia
                                                             correttamente origine
                                      mentre i momenti, poi gli anni; i minuti, poi le epoche
                                    risucchiano l’energia comune, assorbono l’energia quotidiana
                             e quindi continuano a vivere, soddisfatti; persistono, per essere in seguito
                                                           una fonte di gratificazione,
                                         ma forse solo per sé, forse per la propria identità unica.

 
                                                                [Finnish Rhapsody]

 

 

Siamo interessati al linguaggio, che voi chiamate respiro,
                                 se il respiro e ciò che siamo destinati a diventare , e noi pensiamo
                                                         che lo sia, disse al mancina.
                                                                        Gettandole
                                 un osso talvolta, talvolta esprimendo qualcosa di simile a una lieve
                                                             preoccupazione, la strada
                                    è stata così scavata dai viaggiatori che è diventata cavernosa.

Conduce alla morte.
                                  Lo sappiamo, ma solo per un tempo limitato desideriamo cogliere
                                                                        il girasole,
                                trasportarlo da dove si trovava, fiero, eretto, sotto un cielo blu come
                                                                       un bungalow,
                                                            cercando di afferrare il sole,
                                   e portarlo dentro, mentre tutti gli altri sprofondano nella muffa
                                                                 comune. La giornata
                              era iniziata infaustamente, ma migliorò man mano che procedeva,
                                     finché, all’ora di coricarsi, si vide che avevamo prosperato, io e
                                                                               te.

I nostri primi frustrati tentativi di comunicazione erano, in ogni
                                                                caso, morti da tempo.
                                Tuttavia avevo pregato per una cortesia dall’aria prima di partire,
                                                         come avevano fatto i miei antenati,
                                         e ciò non aveva nuociuto loro in alcun modo. E mi astenni
                                                         volutamente dal consultare me.

 
                                                                 [Schema di flusso]

 
 La magia dei possibili giorni in cui gli antenati torneranno a occupare le loro vecchie dimore fu presente per Ashbery sin dall’inizio. Non riesco più a leggere Whitman senza sentire la presenza di Ashbery che ha usurpato per sempre una modalità whitmaniana del parlare.
In Finnish Rhapsody l’onesta sete (<<povertà>>, come Emerson  e Stevens chiamavano la fame onesta o la necessità della poesia) viene placata in modo memorabile dalle alte poesie del mondo “Ma forse solo per sé , forse per la propria identità unica”.
L’”identità unica” di Ashbery ha alcuni tratti chiaramente definiti: nostalgica, incerta, esitante, nobile. Nella sua poesia si sente è la mancanza di un io, della musica incantatrice dell’io in poeti come Yeats e Crane.
Ashbery raccoglie la conciliazione che avviene nella sezione 25 del Canto di me stesso di Whitman:
 

Abbagliante, tremenda, con che rapidità m’ucciderebbe
                                                                            un’alba,
                                      Se io non potessi ora e sempre irraggiare un’alba da me.

 

Noi pure sorgiamo, abbaglianti e tremendi come il sole,
                                        E fondiamo la nostra aurora, o anima mia, nella calma
                                                                 Frescura dell’alba.

 
Quel Noi presente nella poesia di Ashbery è l’unione di se stesso con la sua anima o di se stesso con un’altra persona oppure con l’intera umanità, perché la grandiosità di questo poeta sta in questo: scrive poesia meditativa, che ha valore di poesia universale, che partecipa al mondo e lo racchiude – come Whitman. Ashbery raccoglie il lascito di Whitman e fugge via consapevole di essere l’erede di una ricchezza poetica immensa.
Whitman continuò a rivedere il suo unico libro, Foglie d’erba, Ashbery, autore di molti volumi (più di venti), ha una produzione troppo vasta per poter parlare del “libro di John Ashbery” e, se possibile, preferisce tenere separate le sue opere. Dove Whitman, con il suo stile incerto e delicato, cerca sorprendentemente la totalizzazione, Ashbery sembra farla coincidere con la morte. È probabile che non avremo una sua ultima poesia, il che spiega perché il componimento A North Farm, affascini molti lettori:

 

Chissà dove qualcuno viaggia a rotta di collo verso di te,
                                          a velocità incredibile, viaggiando giorno e notte,
                           per tormente e calura desertica, attraverso torrenti, per passi angusti.
                                                              Ma saprà dove trovarti,
                                                              riconoscerti nel vederti,
                                                            darti la cosa che ha per te?

 

Qui non cresce quasi niente,
                                                   eppure i granai scoppiano di farina,
                                                  i sacchi di farina arrivano alle architravi.

                                     I corsi d’acqua scorrono con dolcezza, ingrassano i pesci;
                                                 gli uccelli oscurano il cielo. Può bastare
                                                       che la ciotola sia messa fuori la sera,
                                                           che noi a volte lo pensiamo,
                                                a volte sempre, con sentimenti contrastanti?

 
Voglio tornare solo un attimo a Finnish Rhapsody per dire che l’ultimo verso afferma, come Whitman, che le parole del mondo sono la vita del mondo: “la propria identità unica”, comunque si presenti, resta autrice di diverse “alte poesie del mondo”, torreggianti affermazioni poetiche terrene.
La produzione poetica di Ashbery e molta vasta e qui la sintetizzerò come se la doppia sestina del canto V di Schema di flusso la rappresentasse per intero:

 

Tuttavia avevo pregato per una cortesia dall’aria prima di partire,
                                                      come avevano fatto i miei antenati,
                          e ciò non aveva nuociuto loro in alcun modo. E mi astenni volutamente
                                                                  dal consultare me,

 
                           il cult du moi essendo una cosa morta, una confusione. È questo che
                                                                     condusse a me.
                           Di primo mattino, affrettandosi per vedere cosa sia cambiato durante
                                                  la notte, ci si ferma a riprendere fiato.
                                    Più vecchia è la presenza, ci rendiamo conto ora, e più si è
                                    trasformata in te con una candela al tuo fianco. Se dovessi
                                 procedere come avevano fatto i miei antenati, forse a quest’ora
                                     staremmo tutti cercando un luogo per fuggire dalla morte,
                               poiché egli è diventato vecchio e saggio. Ma se a Dio piacerà farmi
                                                       vivere fino al mio onomastico,
                              metterò cerchietti intorno alla fronte di colei che si addice alla mia
                                                                 poesia, mostrando i
                              denti mentre sorride, come pugnalate di sole tra le gocce di pioggia.
                                                   Disegnando con un dito nel mio letto,
                              spiega come sia stato tutto necessario, come sia stato un bene che
                                                      non io sia crollato lungo la strada
                                           verso gli scrosci, e poi quando molti erano morti
                                                          che si pensavano vivi, il sole
                                                  uscì solo per un poco e accarezzò il girasole

 
                            sulla sua testa brizzolata. Gli piaccio come sono, pensò il girasole.
                                  Dunque dovremmo concentrarci tutti per essere più <<me>>
                                 perché come nessuno potrebbe cavarsela senza il sole, il sole
                             ruzzolerebbe giù dai cieli se dovessimo alzare lo sguardo, ancora
                                              assorbiti da noi stessi, e non vedere la morte.

 
L’affermazione “il sole / ruzzolerebbe giù dai cieli se dovessimo alzare lo sguardo, ancora / assorbiti da noi stessi, e non vedere la morte” è analoga (seppur in chiave minore) alla grandiosa provocazione di Whitman:

 

Abbagliante e tremendo, come rapidamente mi ucciderebbe il sole
                                                                         che sorge,
                                      se non potessi ora e sempre emettere anch’io raggi di sole.

 
                                                             [Canto di me stesso, sezione 25]

 

Com’è opportuno, la doppia sestina di Ashbery si conclude con un commiato di sei versi, che invoca la madre del poeta (essendo, Schema di flusso, un’elegia per la madre di Ashbery):

 

La storia che mi raccontò sobbolle ancora dentro di me,
                                                                     sebbene ella sia morta
                           da diversi mesi, distesa come su un letto. Le cose che facevamo, io a te,
                               tu a me, contano ancora, ma il sole indica inesorabilmente la strada
                                                                    verso la morte,
                          benché sia solo la sua strada, non la nostra. Buffo il modo in cui il sole
                                         può portarti da lei. E mentre ti fermi a riprendere fiato,
                                   ricordalo, ora che è cosa fatta e i semi divampano nel girasole.

 

Il girasole è sostanzialmente la vita che divampa di semi. Leggere Ashbery è come scendere una cascata, in cui si precipita, ma che magicamente risale verso l’alto, raggiungendo un’epifania, sentendosi rinvigoriti ed eccitati. È un peccato che in Italia siano state tradotte solo una manciata di sue poesie raccolte in un’antologia; è un poeta che merita più attenzione da parte di tutti: editori, traduttori, scuole e così via. Ashbery è il vero nipote di Whitman e sono sicuro che il bardo americano lo avrebbe accolto a braccia aperte.

Lessi (non il cane Lassie) non molto tempo fa un’intervista ad Harold Bloom, il più influente critico letterario del mondo, il quale diceva che il più grande poeta vivente è John Ashbery. Io non avevo mai sentito parlare né letto niente di lui. Cercai su Internet qualche sua poesia, ne trovai quattro; c’era qualcosa in quelle poesie che mi ricordava Whitman, forse la modalità del parlare, queste frasi ondeggianti. In seguito mi capitò tra le mani l’ultimo libro uscito in Italia di Bloom, il quale in un capitolo parlava di Ashbery, e i miei sentori nati dalla lettura di quelle quattro poesie furono giusti; infatti l’eminente critico parlava dell’influenza del bardo americano su Ashbery.
Io essendo un tipo curioso di natura (viva e morta) andai alla ricerca dei suoi libri pubblicati in Italia e con mio rammarico ne trovai solamente uno: un’antologia di poesie dal 1956 al 2007.
La comprai e la reputai un buon acquisto anche se i poemi lunghi del poeta – Schema di flusso e Un'onda  non erano presenti per intero, ma soltanto a frammenti, evidentemente durante il viaggio il libro è caduto ed è andato in mille pezzi. Un giorno aprii il libro a caso e il primo verso di una sua poesia mi mandò, lo giuro, in estasi,  provai la noluntas, lo smembramento dell’anima, e trasumanai seppur per poco.
Gli unici due motivi che mi spingerebbero ad imparare l’inglese sono: poter leggere le opere complete di Ashbery e condurre assieme alla mia migliore amica il David Letterman Show.
 
Denny B.
 

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